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Dirty. Il cocktail bar più irriverente e scorretto di Milano

Si trova in Porta Venezia ed è aperto fino alle 4 del mattino. Non c’è bottigliera e si mangia carne in scatola e banane. Il nuovo viaggio di Mario Farulla, Carola Abrate e Gigi Tuzzi

Dirty è il nuovo cocktail bar che a Milano non vuole rivoluzionare ma tornare alle cose semplici. Dirty vuol dire sporco, parola che ben rappresenta l’anima dark e hardcore di questo locale nato dal power trio composto da Mario Farulla, Carola Abrate e Gigi Tuzzi. Bartender di lunga esperienza e con alle spalle tanti locali all’attivo, i tre son partiti con questa nuova avventura con l’idea di fare controcultura al bar: “A un certo punto ci siamo guardati intorno e abbiamo capito di essere circondati. Intorno a noi vedevamo un’ammucchiata di bar con cose a caso. Quindi abbiamo capito che era giunta l’ora di fare fuori il superfluo”. Ci dice Mario Farulla, che insieme agli altri è proprietario anche di Cringe Company, rivenditore, distributore e produttore di alcolici molto particolare. Dirty, nel quartiere di Porta Venezia, è un varco dove una volta entrati si viene fagocitati in un mondo oscuro, unpolitically correct e fuori dal comune. Si spoglia di luoghi comuni per tornare all’essenza delle cose ovvero il servizio del cliente, semplice, diretto e senza fronzoli. Nessuna prenotazione, solo 35 posti a sedere, Dirty accoglie i nottambuli di Milano fino alle 4 del mattino (“ma arriva tutta gente a posto a dire il vero”) in una città dove trovare posti aperti fino a molto tardi non è semplice.

Dirty a Milano: irreverente e controcorrente

Un locale dove a dominare sono i toni rossi, cupi, tutto è avvolto da ombre e il bancone spicca in mezzo alla sala come vero e unico protagonista. Un bancone senza bottigliera, vera novità di Dirty in linea con alcune tendenze internazionali: “Il bar in primis deve essere un’attività sostenibile in senso economico. Negli anni tanti bartender che hanno scimmiottato gli chef, non hanno colto la grande lezione che arriva dall'alta cucina: i posti chiudono. Per questo abbiamo eliminato tantissime spese. Come le bottiglie di marca, che in realtà ci sono ma non si vedono e vengono utilizzate solo se il cliente le chiede”. Ci spiega Farulla quando gli chiediamo cosa c’è dietro questa scelta. Infatti gli alcolici che vengono utilizzati sono quelli di Cringe Company, attività aperta dai tre un anno fa: “Cringe ha lo stesso obiettivo di Dirty, spogliare del superfluo. Faccio un esempio: un distillato bianco fatto bene costa intorno ai 2€ a litro. Come fa a diventare 80€ al litro? Certo c’è il marketing, la bottiglia figa, il tappo pesante, costi che si riversano su noi e sul cliente. Cringe produce invece in taniche riutilizzabili Geen, Vodga, Room, Triple Sex e Melony (liquore al melone) e Madre (base alcolica neutra a 30° per la preparazione di home made)”.

Brutale e brutalista, Dirty è un covo notturno che rispecchia il pensiero dei tre proprietari anche negli arredi e nello stile. Il progetto realizzato insieme con Nick Maltese Studio è un salto nelle atmosfere più roots e underground, con chiari rimandi all’architettura brutalista, un movimento architettonico nato negli anni 50 che predilige la funzione all’estetica. Dirty infatti è cemento e pareti grezze, sembra quasi di entrare in qualche club berlinese nascosto: due stanze divise da una tenda da macellaio, alle pareti graffiti che ricordano lo stile dell’artista Jean-Michel Basquiat, con immagini che raffigurano genitali maschili e femminili realizzati da Vincenzo Vitolo.

DIRTY a Milano: dettagli del bancone, PH Studio Maigiu

Cosa si beve da Dirty a Milano

“Vogliamo tornare a una miscelazione semplice e diretta, senza fronzoli. Per questo abbiamo eliminato quasi tutti gli strumenti del bartender di oggi: non usiamo il jigger (misurino) ma andiamo a mano libera. Nessun cocktail fotocopia, ma bevute personalizzate e a prezzi del popolo”. Ci dice Mario Farulla. Il gin tonic della casa costa 8€ e il massimo che si può spendere è 15€. Brutalisti anche nella cocktail list, ridotta all’osso (solo 4 i cocktail signature) e che punta tutto sulle conservazioni come salamoie e studio della salinità come esaltatore di sapore. In un mondo dominato dalle fermentazioni anche in mixology, i tre di Dirty vanno da tutt’altra parte. Tra i cocktail iconici il Super Dirty Martini un Martini Cocktail mangia e bevi con tre olive diverse l’una dall’altra, oppure il Big Mac, un blend di gin e rye whiskey, bitter e vermouth, soda, liquore ai fiori di sambuco, aroma di crosta pane e cetriolino sottaceto.

C’è anche una piccola selezione di bocconi, ma non aspettatevi piattini imbellettati. Da Dirty, provocatoriamente, si serve cibo in scatola, banane a 1€, hot dog e mortadella, Saikebon, Coppa Malù, Simmenthal, bruschetta con salsiccia e soia. Farulla aggiunge: “Diamo da mangiare al popolo della notte a cui non interessa realmente cosa si mangia alle 2. Vuole solo essere sfamato e divertirsi. Inoltre tornando al tema della sostenibilità economica un cuoco è una spesa e noi siamo un cocktail bar non una cucina”. Dirty è quel locale che vuole far parlare di sé e provocatoriamente porre anche una riflessione sullo stato delle cose. La mixology, per i tre, deve tornare su un piano umano e sgonfiarsi di tante sovrastrutture e Dirty un luogo radicale e che cerca di porsi interrogativi per il futuro del settore.

Dirty
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