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Cronaca

"Abusiva dopo 25 anni all'estero, cacciata senza alternative reali"

La storia di una donna con quattro figli (di cui due minori) che, al rientro in Italia, non avendo più nulla, ha deciso di occupare una casa popolare

Non è con le occupazioni abusive che si risolve il problema della casa: lo abbiamo scritto infinite volte, da quando - nel 2014 - esplose il "caso Milano", cioè si verificò l'escalation di occupazioni nei quartieri popolari. Chi occupa, oltre a commettere un illecito, toglie un alloggio a chi è in graduatoria e ne avrebbe diritto. Lo abbiamo scritto infinite volte, dando voce ai comitati (come il Comitato di Quartiere San Siro di Lucia Guerri e Giulia Crippa) che si occupano quotidianamente di casa popolare a 360 gradi e lottano, oltre che contro il degrado, anche contro l'abusivismo - e talvolta il racket, ché c'è anche il racket nei quartieri popolari cittadini.

Ma il problema della casa non si risolve nemmeno, al contrario, girando completamente la testa dall'altra parte quando si hanno di fronte situazioni concrete di bisogno. Chi occupa non è facilmente difendibile nel concreto, perché l'illecito c'è. Ma parlare di casa a Milano significa, anche, cercare di rispondere ad una esigenza reale e concreta di chi non può permettersi di accedere al libero mercato delle locazioni. In altre parole, a Milano c'è bisogno di case. Questo è un dato di fatto ineludibile.

Una donna di quarant'anni ha scritto a MilanoToday per raccontare la sua particolare storia di abusiva. Si tratta di una milanese che è stata via dall'Italia per circa venticinque anni, sposata con un uomo del Kosovo, e nel 2015 è stata costretta di fatto a tornare nel suo Paese insieme ai suoi quattro figli, il più piccolo di tre anni. Non sapendo né cosa fare né a chi appoggiarsi, si è recata nel quartiere in cui era cresciuta e ha "aperto" un alloggio vuoto. "Non avevo nulla, né un appoggio reale né un centesimo per pagare un affitto", scrive. Nella sua scala, di abusivi ce ne sono tanti. Dopo avere occupato ha chiesto ad Aler di essere regolarizzata, cosa ovviamente impossibile. Per avere un contratto occorre infatti, anzitutto, non essere occupanti abusivi.

Decenni fa c'erano le sanatorie, ogni tanto, e la lettrice di MilanoToday ha in qualche modo sperato in una di queste. Ma ben presto ha compreso che non è più aria. Gli ispettori dell'Aler sono andati a verificare la sua situazione diverse volte e alla fine, il 4 agosto 2016, l'hanno sgomberata. Lei, due figli minori e due maggiorenni, sola e senza un lavoro stabile, si è sentita proporre una "casa famiglia" dall'assistente sociale del comune di Milano, che - sempre stando al racconto della lettrice - "se n'è poi andata nel giro di cinque minuti non appena sono uscita dall'appartamento".

La risposta al problema abitativo non può limitarsi a questo, nemmeno di fronte ad un illecito quale è l'occupazione abusiva. Non può limitarsi alla burocratica proposta di una casa famiglia che, obiettivamente, non può essere "la" soluzione valida per chiunque, a prescindere dalla situazione concreta. Il termine "welfare" può essere declinato in modi diversi e può incontrare gradi diversi d'applicazione, ma non può essere ridotto ad un foglio precompilato in cui si certifica che il destinatario ha rifiutato una proposta che, per un motivo o per l'altro, non era congeniale alla situazione concreta.

Diecimila alloggi popolari sfitti e più di ventimila nuclei in lista d'attesa fotografano una situazione che migliorerebbe ma non verrebbe risolta se si riuscisse in breve tempo a ristrutturare gli alloggi sfitti; e peraltro non si riesce a fare nemmeno questo, nonostante l'operazione costi, in media, 15-16 mila euro ad alloggio. Per inciso, il comune di Milano sta iniziando un percorso che porterà, nel giro di un paio d'anni, ad azzerare lo sfitto nelle sue case. Che però sono poco più di duemila. Il "grosso" è infatti di proprietà di Aler. E comunque siamo a settembre 2016, più di due anni dopo lo scoppio del "caso Milano". Anche se chi vive nei quartieri popolari sa perfettamente che gli alloggi sfitti sono una realtà da anni ed anni.

Spesso, come scusante, si dice che "non ci sono soldi". E' vero, le finanze pubbliche non navigano nell'oro, ma lasciare decadenti gli alloggi e i palazzi non costituisce forse una drammatica perdita di valore per i proprietari (comune e Aler)? Quale amministratore di condominio, quale immobiliare privata permetterebbe questo? Nel frattempo, senza andare a toccare argomenti da esproprio proletario come quei centri sociali che chiedono la requisizione degli alloggi privati sfitti (si parla di 80 mila appartamenti in tutta Milano), ci sarebbero spazi vuoti e non utilizzati in edifici commerciali e del terziario: in alcuni casi, previo un cambio di destinazione d'uso, sarebbe possibile trasformarli in alloggi popolari. La proposta era stata avanzata dai Radicali durante la campagna elettorale del 2016: dopo l'accordo con Sala, neo sindaco di Milano, si potrebbe anche recuperarla.

"L'assurdo è che ci sono persone con un regolare contratto ma con il 'macchinone' da quarantamila euro parcheggiato sotto casa", fa notare la lettrice di MilanoToday, girando il coltello nella piaga di un'altra questione: si è proprio sicuri che chi aveva i requisiti venti o quarant'anni fa, per la casa popolare, continui ad averli oggi? C'è da migliorare qualcosa anche sul fronte di questo genere di controlli?  

Non è nostra intenzione difendere gli abusivi. La lettrice, dopo lo sgombero di agosto, si è messa più o meno nella stessa situazione: ha nuovamente occupato un altro alloggio, nello stesso quartiere. Probabilmente a lei il contratto non verrà mai concesso, stando alle regole attuali. L'occupazione abusiva non è la risposta giusta per il problema della casa. Lo abbiamo detto tante volte e lo ripetiamo con forza. Ma una risposta prima o poi andrà fornita.

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