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Giovedì, 28 Marzo 2024
Cronaca

Colpita la cosca 'ndranghetista Piromalli: l'operazione anche a Milano

Dodici le persone colpite da misure cautelari perché accusate di associazione a delinquere di stampo mafioso, trasferimento fraudolento di valori e illecita concorrenza con minaccia o violenza con l’aggravante dell’utilizzo del metodo mafioso

Dieci persone in carcere e due ai domiciliari con l'accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso. Questo il bilnacio dell'operazione battezzata 'Geolja' (come il primo nucleo abitativo medievale di Gioia Tauro), con la quale i carabinieri hanno colpito la cosca 'ndranghetista Piromalli del comune calabrese, con interventi che hanno coinvolto anche a Milano.

Martedì 13 luglio, nella provincia di Reggio Calabria e in quelle di Milano e Brescia, i militari, coordinati dalla procura della Repubblica – Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, diretta dal procuratore capo Giovanni Bombardieri, hanno dato esecuzione all'ordinanza di  applicazione di misure cautelari - emessa dal Gip del locale Tribunale. Valerio Trovato, su richiesta dell'aggiunto Calogero Gaetano Paci e del sostituto, Giulia Pantano - nei confronti di 12 persone ritenute responsabili, a vario titolo e in concorso tra loro, di associazione a delinquere di stampo mafioso, trasferimento fraudolento di valori e illecita concorrenza con minaccia o violenza con l’aggravante dell’utilizzo del metodo mafioso. In totale, risultano 21 gli indacati, fra cui dieci finiti in carcere e due ai domiciliari. Tra gli arrestati anche G.P. e R.G., i quali facevano capo alla cosca Pesce, che era attiva anche nell'hinterland milanese con azioni intimidatorie e commissione di delitti contro il patrimonio, perpetrati grazie all'ampia disponibilità di armi, con l'obiettivo di controllare le attività economiche del territorio e ottenere altri vantaggi economici commettendo reati ai danni di imprenditori locali.

L’attività investigativa ha permesso di colpire il sodalizio criminale, attivo nell'estorsione, illecita concorrenza e nel campo delle intestazioni fittizie, che aveva a capo la storica famiglia mafiosa dei Piromalli di Gioia Tauro, oltre che di coinvolgere nell’inchiesta anche alcuni esponenti della cosca 'Pesce' di Rosarno. Il provvedimento di martedì è scattato all'esito di una complessa e articolata attività d’indagine condotta dai carabinieri di Gioia Tauro, sotto il coordinamento dell’Autorità Giudiziaria Distrettuale, fra agosto 2018 e maggio 2020. Cruciale il contributo alle indagini avuto dalle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia e da altre importanti acquisizioni documentali.

A fare partire l'inchiesta un incendio appiccato a un panificio di Gioia Tauro, nell'agosto 2018, quando alcuni ignoti, dopo aver manomesso l’impianto di videosorveglianza di un bar della zona, avevano dato alle fiamme diverse aree dell’esercizio commerciale. A seguito del grave atto incendiario, gli inquirenti avevano scoperto un complesso contesto delinquenziale nel quale i negozi venivano ciclicamente taglieggiati e controllati dalle consorterie mafiose locali.

Le cosche di ‘ndrangheta, infatti, mettevano in atto un vero e proprio controllo del territorio e delle attività commerciali locali, riscuotendo denaro, beni e altri prodotti a titolo estorsivo. I commercianti, di conseguenza, dovevano sottostare alle loro regole
e adeguarsi ai prezzi imposti, ai periodi e alla lunghezza delle ferie, che dovevano essere concordate con le attività commerciali limitrofe. Una vera e propria morsa che attanagliava le attività, al punto da costringere i piccoli imprenditori a voler fuggire altrove, specialmente verso il nord Italia.

Emblematico il commento di alcuni commercianti di Gioia Tauro, i quali hanno definito il controllo di uno dei membri della cosca dei 'Piromalli' nei confronti del loro negozio, come 'l’occhio bionico', nel senso che era in grado di monitorare e spiare ogni loro movimento. In cambio di soldi e beni, il gruppo mafioso garantiva una sorta di protezione mafiosa per cui le imprese venivano 'autorizzate' a esercitare l’attività commerciale.

Oltre agli arresti, a Gioia Tauro sono stati sequestrati anche un panificio, un lido, una concessionaria, un distributore di benzina, un autolavaggio e un’impresa di rivendita di pietre da costruzione, che risultavano intestati fittiziamente a residenti del posto, ma in realtà venivano gestiti dal gruppo mafioso. Nel complesso l'inchiesta ha rivelato un contesto dove la criminalità organizzata spadroneggiava, dettando le proprie regole e imponendo una concorrenza illecita (e azzerando quella libera) con violenze e minacce: le vittime erano costrette ad allinearsi in tutto e per tutto, dai prezzi delle singole merci agli orari di apertura, passando per i periodi di apertura e chiusura. Di fatto, il territorio risultava essere suddiviso tra le singole famiglie ‘ndranghetiste, come confermato anche dalle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia.

L'operazione 'Geolja' ha colpito alcuni dei soggetti vicini alle più potenti cosche di ‘ndrangheta della piana di Gioia Tauro, proprio nelle attività illecite essenziali alla conservazione e mantenimento del potere mafioso. La volontà di controllare gli esercizi commerciali della zona e di riscuotere il 'pizzo' aveva l'obiettivo non solo di ottenere denaro per i gruppi mafiosi, ma anche di corroborare la loro forza intimidatrice.
 

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