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Mercoledì, 24 Aprile 2024
Cronaca

"Buste" e "pasta farcita", il linguaggio in codice per 'truccare' le aste giudiziarie di Milano

19 persone sono state giudicate colpevoli di corruzione, turbativa d’asta e falso ideologico, venendo condannate fino a 11 anni e 2 mesi di carcere. Nella trascrizione delle intercettazioni, il riferimento a mazzette e metodi per pilotare le vendite

19 persone condannate da uno a undici anni e due mesi di carcere. Questo, nei giorni scorsi, l'esito del processo per una serie di aste giudiziarie truccate, che già nel settembre 2020 aveva portato a sei patteggiamenti e a tre condanne in rito abbreviato.

I 19 imputati rispondevano di corruzione, turbativa d’asta aggravata e falsità ideologica, per aver pilotato alcune aste giudiziarie prendendo mazzette da chi si era visto pignorare macchinari industriali, auto e altri oggetti di valore. Le indagini, condotte dalla polizia locale di Milano con il coordinamento del sostituto procuratore Grazia Colacicco, erano partite nel 2012 dopo una soffiata sul fatto che alcuni lotti, messi in vendita attraverso le aste giudiziarie gestite dal'Istituto Vendite Giudiziarie del Tribunale di Milano (Sivag) rimanevano invenduti, per poi tornare a prezzi di vendita inferiori al loro valore ed essere acquistati dai proprietari a cui erano stati pignorati.

Per appurare se vi fossero effettivamente irregolarità, gli agenti si erano infiltrati alle aste sotto copertura, accorgendosi immediatamente che qualcosa non andava. Le intercettazioni telefoniche dei banditori, a tutti gli effetti ausiliari del giudice responsabile della procedura esecutiva, hanno poi confermato i sospetti: in base a quanto ricostruito, infatti, costoro approfittavano della disperazione di chi aveva subìto la procedura esecutiva e, in cambio di soldi, gli proponevano delle soluzioni per truccare le aste facendole andare deserte, in modo che loro potessero poi ricomprare i beni a un prezzo accessibile.

Nel complesso, a essere coinvolte in questo sistema di corruzione erano 39 persone, debitori e prestanome, oltre ai banditori. Per pilotare l'esito delle aste, come emerso dalle intercettazioni, venivo cambiati data o orario, rispetto a quelli indicati pubblicamente. Così al momento dell'incanto la sala rimaneva vuota. In altri casi, i beni venivano descritti come danneggiati pur non essendolo, in modo che finissero invenduti e quindi messi in vendita a un prezzo più basso che permetteva di ricomprarli al loro vecchio proprietario, o a un suo prestanome, nonché da altri acquirenti con cui i condannati erano d'accordo.

"Pasta farcita" e "buste"

Il sequestro di pc e verbali di vendita delle procedure esecutive hanno consentito di evidenziare un consolidato sistema di corruzione che arrecava danni a tutti i legittimi creditori, sia pubblici sia privati. A chiamare i debitori i cui beni erano stati pignorati era sempre il banditore, che facendo leva sullo stato emotivo dei primi, chiaramente in difficoltà, si presentava nelle vesti di una sorta di salvatore, promettendogli che avrebbe fatto di tutto per fargli riottenere macchine, auto e altri oggetti: Ovviamente sempre dietro compenso.

Tra i casi evidenziati dagli investigatori, anche quello di un pastificio di Trezzano sul Naviglio (Milano) che era fallito accumulando debiti per circa 110mila euro e che, pagando una mazzetta da 2.500 euro, avrebbe fatto sì che l'asta venisse truccata, riuscendo così a riacquistare il macchinario per fare la pasta fresca. Il pignoramento aveva un valore di circa 200mila euro e per vendere i beni erano state fissate diverse aste, ma il funzionario incaricato di dirigere la vendita - che è stato condannato a 11 anni e 2 mesi - aveva promesso a un dipendente del pastificio di rinviare via via le aste cambiando l'orario 'all'ultimo' e permettendo così al prestanome di essere l'unico partecipante. 

Banditore e dipendente, come si legge nelle intercettazioni, parlavano in codice. "Ciao... no... Ma pensavo che mi avessi messo dentro l'altra farcitura... Capito. per quello ho guardato", esordiva il funzionario al telefono per accertarsi che il dipendente avesse accettato di pagare la mazzetta. "Togline su un paio ..togline due strisce", proponeva il dipendente. "Va bene. ok. ciao", rispondeva il banditore, venendo rassicurato dall'addetto al pastificio, "che c'è la busta! C'è, c'è". In questo modo il dipendente, col l'aiuto di un altro socio, suo prestanome, si era aggiudicato l'asta rientrando in possesso del macchinario che gli era stato pignorato. Alla fine, il debitore si era detto felice al telefono e aveva ringraziato il funzionario corrotto perché gli aveva permesso di risparmiare, spendendo 400 euro invece di 12mila. "Quando vuoi passare a prendere le scatolette ti ringrazio di tutto come al solito dimmelo... Va bene?", gli diceva al telefono, ricevendo la risposta soddisfatta, e sempre 'in codice' del debitore: "Così vengo a prendermi la roba, se è farcita è meglio".

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