Rapine, violenze, droga: quei ragazzini senza nulla che volevano "riscattarsi" da criminali
Presa la baby gang di Porta Genova: in cella tre giovanissimi per nove rapine. Le loro storie
Non avevano praticamente nulla: una casa, una mamma, affetti, qualcuno che potesse "guidarli", nulla. Così, per dirla con le parole di uno degli investigatori che a lungo li ha studiati e poi incastrati, "avevano creato una sorta di famiglia tutta loro, basata soltanto sulla violenza". Sì perché per loro - cinque giovanissimi, tutti egiziani - l'unico linguaggio possibile era quello delle minacce, delle rapine, del sangue.
A capo della loro baby gang, della loro "famiglia", c'era un 18enne che qualche mese fa è stato arrestato e poi accompagnato alla frontiera per l'espulsione. A fare da "manovalanza", a eseguire gli ordini, erano invece quattro minorenni: uno che al momento sembra essere sparito nel nulla e altri tre - tra cui uno da poco diventato 18enne - che sono stati arrestati all'alba di martedì in esecuzione di un'ordinanza di custodia cautelare in carcere.
La baby gang di Porta Genova
I tre sono accusati, insieme al resto della banda, di nove rapine messe a segno tra febbraio e luglio del 2019, anche se i colpi potrebbero - ma è quasi una certezza - essere molti di più. Da veri criminali consumati, i baby malviventi agivano con ferocia e cattiveria, tanto che il dirigente del commissariato Porta Genova, Manfredi Fava, ha spiegato che "raramente ho riscontrato blitz così efferati e violenti".
Il modus operandi era semplice, sempre lo stesso: il gruppo entrava in azione di notte, quasi sempre con un coltello o un coccio di bottiglia per minacciare le vittime di turno e scegliendo coetanei in quel momento soli, obbligandoli a consegnare loro cellulari e soldi. Anche le zone dei colpi erano costantemente le stesse: dalla stazione di Porta Genova alla Darsena passando per le Colonne, dove ogni tanto si "concedevano" qualche ora a spacciare.
Il ragazzino spinto sui binari
E se durante le rapine c'era da passare dalle minacce ai fatti non c'era nessun problema. Come successo a febbraio scorso, quando un ragazzino che aveva "osato" reagire era stato buttato sui binari di Porta Genova da uno dei rapinatori e trattenuto lì in attesa del passaggio di un treno, almeno fino a quando era intervenuto il "capo" che aveva richiamato l'amico.
Dietro quella rabbia, quella furia, probabilmente si nascondeva - la riflessione degli investigatori - quasi "una voglia di dimostrare a tutti un riscatto", un rancore verso una vita difficile e forse un senso di rivalsa nei confronti dei coetanei più fortunati.
Foto - Una delle auto in cui dormivano
Tutti minori non accompagnati
Perché la vita dei cinque, in effetti, non è stata delle più facili. Sono tutti arrivati in Sicilia e in Calabria da minori non accompagnati, lasciando la loro famiglia in Egitto, per chi ancora ne ha una. Poi sono fuggiti dalle comunità e sono arrivati a Milano, dove hanno vissuto prima in due auto abbandonate dietro la stazione di Porta Genova e poi in un magazzino in disuso nella stessa area.
Due di loro poco prima si erano conosciuti in carcere, nella stessa cella. Non si erano mai visti prima, ma appena i loro sguardi si sono incrociati, si sono abbracciati e si sono sussurrati un sincero "fratello".
Per i tre adesso si sono riaperte le porte del carcere: uno era già in cella da venerdì, quando lo aveva fermato la Mobile mentre spacciava alle Colonne, mentre gli altri due sono stati presi alle 3 e alle 6 del mattino in piazza Vetra e portati al Beccaria.
Le lacrime coi poliziotti
Davanti ai poliziotti, davanti alle loro responsabilità, la ferocia e la forza del branco sono scomparse. I tre sono tutti scoppiati in lacrime e hanno raccontato altri furti e rapine, confessando praticamente in autonomia.
Perché "avevano fondato una famiglia basata sulla violenza, ma in fondo sono ragazzini che poi scoppiano a piangere".
Foto - I luoghi delle rapine