rotate-mobile
Cronaca

La difesa di Fontana sul caso camici (che coinvolge anche il cognato)

Le parole del governatore dopo l'avviso di chiusura indagini

Dispiaciuto, ma sicuro di sé. Il presidente di regione Lombardia, Attilio Fontana, rispedisce al mittente le accuse per il "caso camici", la fornitura - poi diventata donazione - di oltre mezzo milione di euro in camici e altri dispositivi di protezione a regione Lombardia, per il tramite di Aria, da parte della Dama, la società di Andrea Dini, cognato del governatore. 

“Sono molto amareggiato per le questioni di carattere morale e politico che emergono da questa vicenda e che rappresentano esattamente il contrario della verità. La verità è un’altra. Ho agito in modo tale che la regione non subisse danni e per questo ho voluto ripristinare la prassi della donazione”, ha fatto sapere il numero uno del Pirellone in una nota dopo l'avviso di chiusura indagini della procura, che di solito prelude alla richiesta di rinvio a giudizio. 

“Ho sempre detto perché mi sono mosso in quel modo: non volevo che la regione avesse un esborso per dispositivi che ho sempre pensato fossero oggetto di donazione. È vero che ho favorito la donazione, ma in modo virtuoso, non perché fosse preordinato. Non c’è stata nessuna procedura preordinata da parte mia”, ha proseguito Fontana. 

E ancora: "Non sono mai entrato su questioni aziendali dell’azienda di mio cognato. Il mio successivo interessamento aveva l’unico obiettivo di evitare che la Regione dovesse affrontare un esborso verso un mio familiare. Dimostrerò che quella teoria è completamente errata e che rappresenta il contrario della verità dei fatti”, ha concluso il presidente lombardo.

Caso camici verso il processo

Con ogni probabilità, la procura chiederà il rinvio a giudizio per Fontana e altre quattro persone: lo stesso Dini, FIlippo Bongiovanni - ex direttore generale di Aria -, l'ex dirigente della centrale acquisti regionale Carmen Schweigl e un nuovo indagato, Pier Attilio Superti, vice segretario generale della Regione. I cinque rispondono di frode in pubbliche forniture. Sarà invece archiviata l'accusa di turbata libertà nel procedimento di scelta del contraente, che era a carico di Dini e Bongiovanni.

"La notifica consentirà di assumere le iniziative previste dalla legge per dare un contributo di chiarezza allo sviluppo dei fatti che così come descritti non corrispondono al vissuto del presidente che non si riconosce nell'articolato capo di imputazione per come è stata ricostruita la vicenda", hanno spiegato gli avvocati Jacopo Pensa e Federico Papa, legali di Fontana, commentando la chiusura delle indagini.

Il caso del bonifico da Fontana al cognato

Secondo la procura vi fu un "accordo collusivo" tra Dini e Fontana per anteporre "l'interesse e la convenienza personali del presidente di Regione Lombardia all'interesse pubblico". La fornitura iniziale avrebbe dovuto essere di 75mila camici da consegnare alla regione perché li distribuisse agli ospedali che, in quel momento, non ne avevano. La società Dama ne consegnò però 50 mila trasformando la fornitura in donazione perché, nel frattempo, era emerso il presunto conflitto d'interessi. Il danno alla collettività consisterebbe, secondo la procura, nella mancata fornitura degli altri 25mila camici, su cui Aria, centrale acquisti regionale, non pretese alcunché dalla società del cognato di Fontana.

Lui stesso, successivamente, tentò di bonificare a Dini 250mila euro da un conto in Svizzera come parziale 'risarcimento'; ma il bonifico venne bloccato e segnalato alla Banca d'Italia come ogni operazione di ingente valore e quindi ritenuta sospetta. Dalla vicenda del bonifico è scaturita un'ulteriore indagine - a carico di Fontana - per autoriciclaggio, che ora resta 'sospesa' in vista della rogatoria chiesta dai pm alla Svizzera. Il governatore si è sempre difeso non solo dall'accusa relativa alla fornitura ma anche da questa.

In Evidenza

Potrebbe interessarti

La difesa di Fontana sul caso camici (che coinvolge anche il cognato)

MilanoToday è in caricamento