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Cronaca

Cesare Battisti in sciopero della fame in cella: "Sono sequestrato, un prigioniero politico"

Le parole dell'ex terrorista rosso, che da gennaio si trova in carcere a Oristano

"Non mi hanno dato scelta: sono stato costretto ad uno sciopero totale della fame. Sono sequestrato". A parlare così è Cesare Battisti, l'ex terrorista dei proletari armati per il comunismo arrestato a gennaio 2019 in Bolivia dopo 37 anni di latitanza - passati soprattutto in Brasile - e a maggio scorso condannato in Appello all'ergastolo per gli omicidi dell'agente di custodia Antonio Santoro a Udine, dell'agente della Digos Andrea Campagna a Milano, del gioielliere milanese Pierluigi Torregiani e del commerciante e militante del Msi Lino Sabbadin, tutti commessi tra il 78 e il 79. 

"Il sequestro è iniziato il 12 gennaio 2019 in Bolivia, continua oggi nell'Isola di Sardegna. Mi sento oltre che prigioniero politico anche prigioniero di una sporca guerra, guerra tra lo Stato e la lotta armata e non del periodo delle grandi contraddizioni sociali che hanno sconvolto l'Italia dalla fine degli anni '60 agli inizi degli anni '80", le sue dichiarazioni affidate al Gianfranco Sollai, che venerdì gli ha fatto visita nel carcere di Oristano. 

"Il '68, in Italia, è durato 15 anni. La guerra delle istituzioni nei miei confronti viene esternata con la secretazione degli atti, con l'isolamento forzato e illegittimo e con una classificazione retroattiva di 41 anni - ha aggiunto -. Questa è vendetta di Stato, vendetta nei miei confronti a distanza di oltre 40 anni dalle contraddizioni sociali, frutto dello stesso Stato e hanno generato anche il fenomeno della lotta armata che ha visto, come risaputo, coinvolte oltre un milione di persone, 60mila fermi e 5.800 condanne, come riportato a suo tempo dal presidente della Repubblica Cossiga. E tutt'oggi - ha concluso Battisti - lo Stato vuole per tutto ciò sacrificare me in nome di una giustizia che non c'è". 

L'ex terrorista rosso aveva sempre negato ogni coinvolgimento nei quattro omicidi, salvo poi ammettere le sue colpe al momento dell'arrivo in Italia dopo l'arresto. 

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