I giudici della Corte d'appello di Milano hanno condannato a nove anni di reclusione il faccendiere Pierangelo Daccò imputato per il dissesto finanziario del San Raffale. In primo grado Daccò era stato condannato a 10 anni di reclusione.

Il sostituto procuratore Piero De Petris, alla fine della requisitoria, aveva chiesto di confermare la sentenza di condanna di primo grado riducendo però la pena in quanto occorreva togliere l'aggravante di transnazionalità. Il legale della Fondazione San Raffaele Monte Tabor (parte civile) aveva invece chiesto la conferma della sentenza di primo grado, compresa la provvisionale di 5 milioni di euro.

I difensori di Daccò, invece, avevano chiesto l'assoluzione affermando tra l'altro che non è stato provato che Daccò conoscesse la situazione finanziaria dell'ospedale. I legali del faccendiere avevano anche ricordato che il loro assistito "è stato l'unico ad essere stato condannato" per il dissesto dell'ente. E poiché recentemente il tribunale ha assolto tre coimputati di Daccò (condannandone un quarto a 5 anni di carcere), i legali nella mattinata di martedì avevano chiesto anche il rinvio del processo, in attesa del deposito delle motivazioni di quella sentenza: ma il rinvio non era stato accordato.

Nella giornata di martedì, Daccò ha anche reso dichiarazioni spontanee, affermando di non avere mai pagato tangenti alla regione o a Formigoni e di non avere mai rappresentato il San Raffaele o don Verzé: "Era impossibile, perché per oltre 15 anni rappresentavo un altro gestore molto importante". Ha poi precisato che il suo rapporto con Mario Cal (ex vicepresidente del San Raffaele, morto suicida) era "di amcizia e business importanti". Ha poi respinto l'accusa di avere distratto 35 milioni dalle casse del San Raffaele per la vicenda dell'aereo comprato dalla fondazione: "Io ho solo passato un contratto che mi è stato chiesto per favore".

Dopo la sentenza i legali di Daccò hanno promesso il ricorso in Cassazione.