Minori 'detenuti' illegalmente e diritti negati: meglio la galera del Cpr di via Corelli di Milano
La denuncia di Mai più lager - NO ai CPR, che da tempo osserva la situazione al centro
"Continuano le segnalazioni dei trattenimenti illegittimi nel Cpr di Milano". La denuncia arriva dagli attivisti di Mai più lager - NO ai CPR che riferisce della 'detenzione' di tre minori e di un tunisino padre di una piccola europea. Anche se come dicono loro, in questo periodo, sono diversi i casi: "Minori di 18 anni, infortunati con gambe rotte, persone affette da disagio psichico spesso dipendenti da pesantissimi ansiolitici, giovani ragazzi perseguitati per il loro orientamento sessuale", insomma in questi mesi dal Cpr di via Corelli "ne stando passando a bizzeffe di appartenenti a categorie che non avrebbero potuto essere oggetto di trattenimento". Con l'aggravante che "ben pochi di loro sono riusciti a mettersi in contatto con un avvocato che potesse far valere la loro condizione, a causa del fatto che all'entrata vengono spogliati (contro ogni regola) del loro telefono cellulare, oltre che di tutti gli effetti personali", denunciano.
L'ultimo episodio è legato alla presenza di tre tunisini con meno di 18 anni e sbarcati a fine dicembre in Sicilia. Trasferiti in via Corelli a inizio gennaio e liberati solo diversi giorni di trattenimento. Dopo aver accertato la loro minore età. "Evidentemente il loro percorso - sottolineano gli attivisti - avrebbe dovuto essere del tutto diverso, sin dallo sbarco, ma nei respingimenti di massa non si fa troppa attenzione al particolare né alle condizioni di fragilità né ai diritti, la cui illustrazione agli interessati è del tutto inesistente, contro ogni legge di diritto internazionale".
Nei giorni scorsi - sempre secondo Mai più lager - NO ai CPR - è toccato a un signore tunisino, padre di una piccola cittadina europea, essere tra gli 'ospiti' della struttura. L'uomo, che stava cercando di raggiungere la figlia, non avrebbe potuto né essere espulso, né trattenuto proprio in quanto padre di una minore europea.
I diritti violati al Cpr di via Corelli
Gli 'ospiti' del Cpr fanno fatica a veder rispettati i loro diritti. "Il Cpr di Milano - l'accusa degli attivisti - fin dal suo regolamento è in profonda violazione con le - già aberranti - norme in materia, e certo non aiuta la totale assenza di riferimenti e mediatori culturali professionisti all'interno, nonché l'isolamento con l'esterno che limita anzi annulla ogni possibilità di difesa ad opera di un avvocato di fiducia. Solo chi ha la fortuna di avere un parente che lo cerca e che ha contatti in Italia può essere a conoscenza di sportelli legali di supporto e quindi rivolgersi a questi ultimi per loro".
Un esempio palese di quanto questi diritti siano violati, sempre secondo la denuncia degli osservatori di Mai più lager - NO ai CPR che più di chiunque altro hanno seguito le vicende di via Corelli, sono le udienze di convalida (quelle cioè che devono decidere della legittimità del loro trattenimento). Avvengono "senza neppure accorgersi di quel che sta accadendo: chiamati in una stanza anonima, il giudice - che non veste certo l'ermellino come nei video che si possono aver visto in TV nei film americani, in aule sontuose - non è neppure riconoscibile, e men che meno l'avvocato di ufficio, che mai hai visto prima, e che mai ha visto prima né te né le tue carte, e che si limiterà a dire «mi rimetto»: questa l'esplicazione del diritto di difesa nel Cpr per chi non ha un avvocato di fiducia. Per chi ce l'ha, l'approfondimento, i colloqui, i contatti, la trasmissione dei fascicoli all'avvocato sono con mille espedienti negati o ritardati, e spesso il cliente viene rimpatriato senza aver avuto neppure modo di vederlo una volta", raccontano. "È giustizia questa?", si chiedono gli attivisti. "Non è neppure rispetto di una legge già di per sé ingiusta", l'amara risposta.
La vita all'interno del Cpr di via Corelli
Ma è proprio l'intero sistema a fare acqua da tutte le parti. Un fatto dimostrato dalle continue proteste degli stranieri trattenuti, rinchiusi in una struttura non adatta, come la stessa polizia ebbe modo di denunciare. "La vita all'interno - snocciolano gli attivisti - si svolge nella consueta alienazione e nella consueta sporcizia. I due settori attivi, ciascuno da 28 persone, sono separati e chiusi. Dall'interno i ragazzi fanno fatica a chiamare gli operatori, che sono in media in turno in non più di 1 o 2 per 56 persone, ed accedono alle stanze accompagnati dalle forze dell'ordine, che costituiscono una presenza costante, anche durante le telefonate, anche durante la doccia, durante la barba, e si aggiungono al sistema di videosorveglianza. Spesso i ragazzi chiamano inutilmente per ore per urgenze. C'è un citofono per settore al quale ogni tanto risponde qualcuno, se e quando può o ha voglia. A volte hanno bisogno solo di sapere che ora è, magari per regolarsi se è l'ora della preghiera (ovviamente non c'è uno spazio apposito, anche se da regolamento CIE dovrebbe esserci). Ma neppure se è l'ora di pregare è dato sapere: nel Cpr, senza cellulare e senza orologi (non esistono suppellettili e i mobili sono inchiodati al suolo), è un altro diritto negato".
Meglio la galera al Cpr di via Corelli
"È ripreso - raccontano - il viavai più serrato in entrata e uscita, e ai tunisini appena sbarcati dalle navi quarantena, che costituiscono come sempre la netta maggioranza, si sono aggiunti i rilasciati da carceri di tutta la penisola, che appunto hanno finito di scontare la loro pena, e che avrebbero qui una famiglia da cui tornare dopo aver 'saldato il loro debito' con la giustizia. Spesso per le persone straniere la punizione è doppia: si aggiunge alla carcerazione - a seguito della quale è un attimo perdere il permesso - la pena ulteriore di essere strappati dalla propria famiglia ed essere rispediti nella nazione originaria, con la quale il più delle volte non hai più legami da anni. Sempre che ci siano trattati di rimpatrio: diversamente, sarà solo un giro gratis sulla 'giostra' del tunnel degli orrori prima di essere salutato con un invito a lasciare autonomamente il territorio. In ogni caso, per chi viene dal carcere il commento è sempre lo stesso, quando viene interrogato sul paragone con il Cpr: «Meglio la galera»". Il che la dice lunga sulla qualità della vita nei Cpr come quello di via Corelli a Milano, definita disumana pure dagli avvocati penalisti.