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Cronaca

Divieto sigarette elettroniche a Lomazzo: perché è sbagliato

L'ordinanza è scritta sulla base di "non sappiamo" e "non è provato". E tratta le "e-cigarettes" come quelle normali, senza considerare che non c'è rischio per il fumo passivo. Semmai è questione di educazione

Milano - come tante altre città d'Italia - è sempre più una città che "svapa": una percentuale sempre più alta di fumatori sta passando dalle sigarette normali a quelle elettroniche, che non sono altro che vaporizzatori portatili. Funzionano in modo molto semplice: una batteria, se accesa, aziona un "atomizzatore" che scalda un liquido. Il liquido, scaldandosi, evapora. E chi "svapa" aspira questo liquido con un gesto molto simile a quello del fumare. Solo che non fuma nulla, perché non c'è combustione. C'è vaporizzazione, appunto. Senza odori e senza rischi di fumo passivo.

Il liquido, di solito, è a base di glicole propilenico e/o glicole vegetale, usati anche come additivi alimentari e classificati come sicuri dalla Food and Drug Administration degli Stati Uniti. Aromi e, se si vuole, una certa percentuale di nicotina completano il liquido.

Senza combustione non ci sono sostanze cancerogene. La nicotina, se presente, crea dipendenza; è un vasocostrittore come la caffeina. Fa male, sarebbe meglio non assumerla. Ma la si può assumere anche attraverso i "cerotti" regolarmente venduti da decenni in farmacia. Del resto anche la "e-cig" ha fatto la sua primissima apparizione in farmacia, nel nostro Paese.

Il fenomeno non è più marginale: spuntano tra l'altro molti negozi che, in assenza di qualunque regolazione, vendono sigarette elettroniche, pezzi di ricambio e liquidi. Cominciano a vedersi anche le pubblicità televisive, perfino Gerry Scotti (fumatore, tra l'altro) ha fatto uno "spot" per una notissima marca di sigarette elettroniche. Ora il sindaco di Lomazzo (Como) ne vieta l'uso nei locali comunali, asserendo appunto che non è provata la sua innocuità e anzi per alcuni è peggio di una "bionda" tradizionale, "nonostante - si legge - le rassicurazioni dei produttori, in prevalenza cinesi". Sarà una locuzione del tutto innocente, ma Rusconi, primo cittadino di Lomazzo, saprà benissimo che in questo modo istilla il dubbio della validità di un prodotto. Siamo infatti (troppo) abituati a pensare che "made in China" equivalga a qualcosa di scadente, senza ricordare che anche Apple e Samsung producono in Cina.

Non è tanto la decisione del sindaco a stupirci, quanto le motivazioni. Un divieto sulla base di dichiarati "non si sa", "non sappiamo", "non è sicuro", "non è provato". Si legge anche che non è certo che faccia smettere di fumare. Non è certo questo - a nostro parere - il discrimine per vietarle o no, ma chi scrive è un convinto "svapatore" dopo essere stato per anni un poco convinto fumatore. Chi scrive ha totalmente abbandonato le sigarette normali da un giorno all'altro grazie alle sigarette elettroniche. Chi scrive conosce anche persone che non hanno "spento per sempre" le sgiarette normali, ma ne hanno diminuito (di molto) l'uso. E' sempre qualcosa di meglio che fumare un pacchetto di catrame e agenti cancerogeni al giorno.

Il divieto di fumare in luoghi pubblici è innanzitutto questione di educazione. In questo senso, la maggior parte degli "svapatori" si astiene già, di suo, dall'usare sigarette elettroniche in luoghi di lavoro, in treno, in ascensore, in casa d'altri, al ristorante e al cinema. Si tratta di un prodotto che a chi sta intorno non nuoce di certo, ma stai a spiegarglielo.

Un conto è però l'educazione, un conto un divieto sulla base di supposizioni non provate. La sigaretta tradizionale non è infatti vietata per la nicotina, che è una sostanza non cancerogena e perfettamente legale, ma per il catrame e il fumo che provocano rischi tumorali anche in chi respira il fumo altrui: un rischio che, nella sigaretta elettronica, si "dissolve" del tutto. Come il vapore nell'aria.

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