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Venerdì, 19 Aprile 2024
Cronaca

Quel giro di documenti falsi dall'Ucraina all'Italia (anche all'Isis) tra ceceni e «antiterroristi»

Le contraddizioni geopolitiche dietro la storia dei falsari ucraini (e ceceni) tra Chernivtsi e la Lombardia

«Noi siamo antiterroristi», replica la madre (L.P.) quando il figlio (H.P.) le fa notare che, nella stanza dell'interrogatorio, vi erano anche uomini dell'antiterrorismo italiano. I due, intercettati a bordo della loro auto, commentano le domande a cui sono appena stati sottoposti, pensando di averla fatta franca e di essere riusciti a sminuire il proprio ruolo all'interno di quella che, per la procura di Milano, è (era) un'organizzazione rodata ed efficiente per fabbricare e vendere documenti falsi (almeno un migliaio). 

Ed eccola, la contraddizione "geopolitica" di questa storia. Un gruppo di ucraini, tra cui madre e figlio trapiantati a Milano, provenienti da una zona del Paese, quella di Chernivtsi, crocevia di culture e tradizioni diverse, dove si parlano storicamente almeno cinque lingue differenti e dove è forte l'opposizione alle ingerenze della Russia di Putin in Ucraina, secondo la procura si unirebbe in un'attività criminale con Turko Arsimekov, un ceceno che, agli investigatori, dichiara di essere stato parte della guardia presidenziale del presidente della repubblica autonoma russa Razman Kadyrov, fedele quindi al Cremlino e a Putin.

Il ceceno "fedele al presidente", tuttavia, non disdegna di (cercare di) vendere un documento falso anche all'attentatore di Vienna che sparò alla folla il 2 novembre 2020 prima di essere ucciso dalla polizia austriaca: Kujtim Fejzullai, affiliato alll'Isis, dunque almeno ufficialmente avverso al presidente ceceno Razman Kadyrov e a chi l'aveva sostenuto. E, di più, il "collegamento" austriaco sarebbe un certo Ahmed, ceceno come Arsimekov e "socio" del capobanda di Chernivtsi, Vitalii Zaiats, uno dei trasportatori informali di merce che fanno la spola tra Ucraina e Italia, e che approfittava di questi viaggi per portare anche i documenti falsi.

Ma la madre e il figlio, "in linea" con il sentimento della maggior parte della popolazione della città d'origine, sono «antiterroristi», che in Ucraina significa nemici dichiarati di quel terrorismo misto tra milizie locali, truppe russe e combattenti internazionali (anche ceceni) che ha infiammato il Donbas, l'Est dell'Ucraina. Pecunia non olet, forse. C'è un ultimo personaggio nell'ombra della storia, tale Adam, cittadino dell'Inguscezia, confinante con la Cecenia e complicata quanto la più nota "vicina"; a quanto pare, aveva conosciuto il ceceno "varesino" in un campo di rifugiati e conosceva pure H.P., l'ucraino che vive a Milano. Sarebbe stato proprio Adam a mettere in contatto i due: il falsario trapiantato a Varese e quello che sarebbe diventato il suo "postino" di fiducia.

Reticenti e quindi "colpevoli"

Talmente di fiducia che, una volta, gli ha fatto aprire il pacco e fotografare i documenti contenuti all'interno. Così, H.P. non può più di tanto sminuire il suo ruolo perché, almeno in un'occasione, è certo che abbia visto i documenti. E poi sul suo cellulare Arsimekov era memorizzato proprio come "documento". Un'ammissione, per la procura. La madre è coinvolta perché, almeno una volta, ha sostituito il figlio nella consegna d'un pacco ad Arsimekov. Ma i tabulati telefonici testimoniano che madre e figlio parlavano spesso col ceceno da qualche anno (anche per fargli aggiustare un computer) e, poiché nell'interrogatorio hanno diminuito di parecchio il numero dei contatti, questa sarebbe un'altra ammissione di colpevolezza.

Il gip ha deciso di non accogliere completamente la richiesta della procura di Milano, che voleva tutti in carcere. Vi ci sono finiti, invece, soltanto in tre: il trasportatore e falsario Zaiats, "beccato" perché aveva ricominciato a fare la spola personalmente tra Ucraina e Italia dopo un periodo di "silenzio"; il collettore di ordinazioni Arsimekov, già arrestato a novembre a casa sua con ventotto documenti fasulli; e A.N., uno dei due collaboratori di Zaiats che guidavano i mezzi tra i due Paesi, ma quest'ultimo solo perché non ha fissa dimora in Italia e quindi è assai probabile che, ai domiciliari, ne approfitterebbe per scappare.

I "postini" ai domiciliari e cosa emerge dalle intercettazoni

Ai domiciliari, invece, sono andati H.P. e L.P., figlio e madre, che vivono a Milano e, per la procura (e il gip), avevano piena consapevolezza del traffico illecito, mentre loro dicono di no; il secondo aiutante di Zaiats, S.A., domiciliato a Pioltello e dunque non in pericolo di fuga; e poi il terzo "postino", V.S., che vive a Legnano e, in un'occasione, ha chiesto ad Arsimekov un passaporto e una patente. «A me serve quella cosa, solo che serve a me», dice (intercettato) V.S. a Zaiats, perché i carabinieri gli avevano ritirato la patente ucraina in quanto priva della prescritta trascrizione. Nel prosieguo, il gip riporta in modo leggermente diverso la frase: «A me seve quella cosa, come al solito, solo che serve a me», sottolineando "come al solito", anche se nella trascrizione così come riportata nella pagina precedente mancava, sarebbe la prova che altre volte V.S. aveva chiesto a Zaiats documenti falsi ma per altri.

Per gli investigatori, poi, è rilevante l'intercettazione effettuata durante la consegna a V.S. dei documenti contraffatti da lui richiesti. V.S. è in contatto con i due autisti, entrambi a bordo del mezzo, S.A. e A.N., e ad un certo punto chiede «S. o A., non so, con chi sto parlando?». Per la procura significa che aveva familiarità con entrambi. I tabulati poi dimostrano che V.S. si sentiva regolarmente con Zaiats dal mese di aprile del 2019, »dato che conferma» (scrive il gip) «l'effettivo ruolo» di V.S. «quale "terminale" sul territorio lombardo dell'organizzazione». Qui il gip (almeno nell'ordinanza) dimentica che Zaiats era, innanzitutto, un trasportatore informale di quelli molto utilizzati dagli ucraini in Italia: di per sé i contatti assidui avrebbero potuto essere motivati da ciò, così come che V.S. conoscesse entrambi gli autisti di Zaiats.

Quanto ci guadagnavano i presunti "postini" e il collettore degli ordini?

Al di là dei ruoli evidentemente da chiarire ancora bene, di certo l'attività di contraffazione di documenti era florida. Carte d'identità, passaporti, patenti di guida di diversi Paesi (Romania, Ucraina, Italia, Slovacchia, Polonia). Arsimekov pensava anche di allargare il business ad altri documenti «molto richiesti», come gli attestati di conoscenza delle lingue straniere. Gli inquirenti non credono alla sua versione che guadagnasse 20 euro al giorno per l'attività. Né, forse, che H.P. e L.P., figlio e madre, non prendessero nulla quando portavano al ceceno i pacchi ricevuti dai corrieri di Zaiats. Ma non v'è traccia, nell'ordinanza del gip, nemmeno che ci guadagnassero. Quanto a Zaiats, le voci di paese (la Bucolina è piccola) dicevano che s'era arricchito, aveva «castelli» e molte auto.

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