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Cronaca

La scomparsa di Gabriele Basilico, il fotografo dell'architettura urbana

Periferie e trasformazioni al centro della sua ricerca fotografica, con il costante sguardo architettonico. Prima di scattare, esplorava. Testimoniò le fabbriche di Milano alla fine dei '70

La scomparsa di Gabriele Basilico lascia il segno nella fotografia contemporanea. Basilico, nato a Milano nel 1944, si laureò in architettura e preferì lavorare con la macchina fotografica piuttosto che con squadra e matita. Ma i suoi lavori (noti in tutto il mondo) tradiscono lo sguardo dell'architetto e, per la precisione, dell'architetto urbano. Grandi protagoniste dell'opera di Basilico sono state infatti le città, le loro trasformazioni attraverso l'era contemporanea, per una fotografia di paesaggio attenta a ciò che l'uomo costruisce intorno a sé.

Il lavoro più significativo di Basilico a Milano è quello sulle fabbriche. Basilico incontra le fabbriche di Milano sul finire degli anni '70, mentre sta abbandonando la fotografia di reportage, mentre il capoluogo lombardo è ancora città prepotentemente industriale. Le fabbriche sono ritratte come luoghi appartenenti pienamente al paesaggio urbano milanese, proprio come le "vide" nel 1961 Luchino Visconti in "Rocco e i suoi fratelli". Proprio per questo mancavano, nelle immagini di Basilico, gli operai. La fabbrica come luogo che conferisce una identità ai quartieri periferici e non come "strumento", come parte di un concetto più ampio (il lavoro). Chiaro segno della visione architettonica di Basilico. Di lì a poco diverse fabbriche ritratte sarebbero state dismesse: le immagini sono quindi anche, oggi, testimonianza di una Milano trasformata.

La grandezza del lavoro di Basilico gli consentì di lavorare spesso su commissione di case editrici ma anche di enti pubblici. Ma non sono mancati i frutti di sue ricerche personali, come il lavoro su Beirut bombardata. Tecnicamente Basilico amava il banco ottico, strumento di diretta derivazione della primissima macchina fotografica, con cui è possibile scattare in grande formato e controllare alla perfezione le distorsioni prospettiche.

Delle città scriveva che sono "come un grande corpo dilatato" e, per spiegare il suo interesse per le periferie, che sono "come un libro da leggere per intero". Meticolosamente le esplorava prima di iniziare a fotografarle. E per fare comprendere il legame con i suoi studi di architettura, scriveva: "L’esercizio del guardare scorre su binari virtuali in tutte le direzioni, come su un tavolo da disegno, alla ricerca di una configurazione spaziale".

(citazioni da "Architetture, città, visioni", ed. Bruno Mondadori)

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