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La decisione

Reclutava ragazze sui social per l'Isis: non potrà usare internet

La "Leonessa dei Balcani", condannata per istigazione a commettere reati, sta scontando la pena ai domiciliari in una casa famiglia

Sta scontando la condanna (a tre anni e quattro mesi per istigazione a commettere reato) ai domiciliari, in una casa famiglia. Ma, durante questo periodo, non potrà accedere ad internet e, in particolare, le sarà vietato usare i social network, visto che proprio con questi strumenti contattava ragazze adolescenti per convincerle ad aderire all'Islam radicale e a votarsi al martirio. 

Si tratta di Bleona Tafallari, oggi ventenne, kosovara, arrestata a Milano nel mese di novembre del 2021 in via Padova, dove era tornata a vivere per un periodo, sposata con un miliziano dell'Isis e inizialmente accusata di terrorismo internazionale, ed in particolare di fare parte del gruppo dei Leoni dei Balcani, una costola dell'Isis in Kosovo. 

La ragazza in realtà poi non è stata condannata per terrorismo ma solo per istigazione, perché i giudici del processo hanno stabilito che non v'erano prove di una sua appartenenza a quel gruppo, mentre è stata approvata la sua attività di persuasione che poteva portare al radicalizzarsi della fede e, in qualche caso, all'aggregazione di giovani donne in organizzazioni terroristiche. Tafallari, in particolare, invitava le ragazze a trovarsi un marito miliziano. Vista la sua attività online, i giudici della sezione prevenzione hanno stabilito che, durante la permanenza nella casa famiglia in cui sconta la pena ai domiciliari, per lei sarà vietato accedere ad internet e ai social.

Il neonato con la pistola

Tafallari, a settembre 2021, si era trasferita dal Kosovo a Milano per rinnovare la carta d'identità (dal 2009 aveva vissuto in Italia) e per sottoporsi al vaccino anti covid. In due mesi aveva sempre vissuto a casa del fratello, in via Padova, uscendo di casa solo due volte. Gli investigatori avevano trovato nel suo smartphone diverse immagini e documenti sul terrorismo e la "guerra agli infedeli", tra cui alcune istruzioni per confezionare ordigni. Tra le fotografie rinvenute, quella di un neonato con una pistola appoggiata sull'addome e un cappello con shahada (la testimonianza di fede con cui i musulmani dichiarano di credere in un solo e unico dio e nel suo profeta Maometto). Segno, secondo gli investigatori, che il bimbo era già destinato al martirio.

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