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Cronaca

iPhone rubati e "ripuliti" rivenduti nel negozio di Milano: sgominata una banda di "hacker"

Nei guai due uomini egiziani di 36 e 28 anni, oltre a una italiana di 29. L'operazione era scattata dopo il furto (e il recupero) di un Mac

A prima vista sembravano iPhone puliti. E anche smanettando (e controllando il codice Imei, sigla che identifica un terminale mobile) sembravano normali telefoni. Invece erano tutti rubati e venivano rivenduti in un negozio di Milano. E la presunta banda dietro a questo giro è stata sgominata dai carabinieri: nei guai due uomini egiziani di 36 e 28 anni, oltre a una italiana di 29; arrestati dai carabinieri della stazione i Arese nella giornata di lunedì 20 luglio. Devono rispondere delle accuse di associazione a delinquere con finalità di ricettazione e riciclaggio di dispositivi elettronici. Il fatto è stato reso noto dai carabinieri del comando provinciale di Milano attraverso una nota.

L'indagine era iniziata con una semplice denuncia di furto di un Mac: quando il proprietario lo ha riconosciuto su un sito di compravendita online si è rivolto ai carabinieri. E i militari avevano messo a segno un'operazione che aveva permesso il recupero del computer e l'arresto del ricettatore. Non solo: i detective avevano scoperchiato un vero e proprio vaso di Pandora perché si erano resi conto che dietro a quel banale furto si nascondeva qualcosa di più ampio: "un vero e proprio mercato illecito di apparati telematici rubati, tutti della stessa casa statunitense di telefonia, in prevalenza personal computer e smartphone", si legge nel comunicato dell'Arma.

Telefoni che, in alcuni casi, sarebbero stati venduti insieme a una scheda intestate a prestanomi: vere e proprie "armi" da utilizzare per commettere qualsiasi azione senza lasciare una rilevante traccia telematica. Più nel dettaglio i codici Imei sarebbero stati sostituiti attraverso un software che riusciva a sovrascriverlo all'interno la memoria del telefono; programmi trovati all'interno di alcune chiavette usb.

Per attribuire la paternità dei dispositivi sequestrati e quindi dimostrare il reato, gli investigatori hanno lavorato a stretto contatto con Apple che, su insistenza degli inquirenti, "ha rilasciato i segretissimi codici ID, i quali hanno permesso di risalire alle identità reali di chi ha effettuato il primo accesso sui dispositivi e quindi ricollegarli alle denunce di furto presentate in passato", hanno puntualizzato i carabinieri.

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