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Cronaca

'Unisciti alla jihad o ti ammazzo': così a Milano l'aspirante terrorista cercava martiri per l’Isis

Il racconto di un testimone durante il processo a un giovane ritenuto affiliato all'Isis

"Raggiungimi qui in Siria. Altrimenti ti ammazzo". Così Monsef El Mkhayar, il marocchino ventunenne accusato di essere un foreign fighter dell'Isis e ora sotto processo a Milano per terrorismo internazionale, incitava dal proprio profilo Facebook un proprio connazionale a unirsi alla jihad. 

Il destinatario del messaggio è un giovane ospite della comunità Kairos di Vimodrone - nel Milanese -, lo stesso centro dove Monsef ha vissuto prima di trasferirsi in un appartamento a Milano e, soprattutto, prima di abbandonare l'Italia per raggiungere la Siria insieme all'amico e coetaneo Tarik Aboulala, poi morto in combattimento.

Anziché accogliere il suo invito, però, il giovane a dicembre scorso - come raccontato da uno dei responsabili della struttura lunedì mattina durante un’udienza del processo - ha denunciato l'ex compagno che aveva tentato di indottrinarlo e che è tuttora latitante in Siria. 

Il testimone ha descritto Monsef come un giovane dal carattere "molto aggressivo e difficoltoso", che beveva parecchio, faceva abitualmente uso di stupefacenti e aveva collezionato una serie di denunce per spaccio di droga, tanto da essere arrestato a settembre 2013.

Il suo comportamento - ha evidenziato il responsabile - era cambiato radicalmente soltanto una una volta uscito da San Vittore, nel maggio successivo: "Aveva smesso di bere, frequentava in modo sempre più assiduo le moschee, era ossessionato dalla religione islamica. I suoi discorsi erano così radicalizzati che non venivano accettati dagli altri ragazzi della nostra comunità, tutti giovani marocchini e tutti musulmani”. 

“Quando Monsef parlava di Islam era molto determinato, non c'era possibilità di contraddirlo e - ha concluso il testimone - di fargli capire che le sue opinioni erano esagerate"
 

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