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Cronaca

Fondazione Ismu: "A Milano vivono 65mila cittadini migranti musulmani"

Dopo le recenti questioni riguardanti l’ubicazione della moschea e l’attentato di lunedì alla Caserma Santa Barbara, i musulmani sono tornati prepotentemente al centro della scena. Per capire chi sono, cosa fanno e come vivono abbiamo chiesto alla Fondazione Ismu

Le recenti questioni sulla costruzione della moschea e l’attentato di lunedì alla Caserma Santa Barbara hanno riportato prepotentemente al centro della scena la comunità musulmana. In realtà quando si pensa ad un islamico, lo stereotipo è quello di un egiziano con il turbante, che si reca alla moschea in preghiera.

Ma visto che noi nel resto del mondo siamo “pizza, pasta e mandolino” non dovrebbe essere difficile capire che dietro a queste semplificazioni c’è un universo molto variegato e strutturato. Abbiamo chiesto aiuto all’Ismu, una fondazione che promuove studi, ricerche e iniziative sulla società multietnica e multiculturale, per cercare di fotografare la comunità musulmana milanese.

Un primo punto interessante da considerare è che questo gruppo è formato da persone proveniente da paesi estremamente diversi. “A Milano Ismu stimava al 1 luglio 2007 tra i 55/56mila musulmani, che al primo luglio 2009 si aggirano intorno ai 65mila” ci dice Alessio Menonna, demografo e statistico della Fondazione. A inizio decennio erano 35mila sul territorio cittadino.

Di questi: 27mila sono egiziani, 9mila marocchini, 2400 senegalesi, albanesi e del Bangladesh, meno di 2mila tunisini e non più di mille sono pakistani e turchi. La loro anzianità media migratoria, ovvero gli anni vissuti mediamente a Milano, è di 8 anni. Per quanto riguarda la condizione di irregolarità è molto elevata tra i senegalesi e gli egiziani: dall’indagine di Ismu, i migranti dall’Egitto senza regolare permesso di soggiorno sono circa 6mila, una cifra piuttosto bassa se si considera che in città ce ne sono quasi 30mila.

Per quanto riguarda le professioni che svolgono: “Marocchini e albanesi sono concentrati soprattutto nel settore edile; gli egiziani nell’edilizia ma anche in quello della ristorazione e dell’artigianato: pakistani e senegalesi nell’industria” ci dice Menonna. Per quanto riguarda il loro reddito medio la cifra si aggira intorno ai 1163 euro al mese e il 9% di questi lavoratori risulta un autonomo e l’1% è un imprenditore.

Rispetto agli immigrati non musulmani, gli islamici tendono a venire nel nostro paese in maggioranza con la famiglia, altrimenti con gruppi di amici e conoscenti. Il fatto che si viaggi in blocco rappresenta un tipo di migrazione più stabile: la tendenza è quella di iniziare un lavoro o un’attività in proprio e quindi trasferire la propria vita dal paese di origine all’Italia. Le ucraine per esempio, che spesso lavorano come badanti presso gli anziani, di contro sono delle migranti “sole e temporanee”.

Per quanto riguarda la loro ubicazione sul territorio, i musulmani sono ben integrati in tutto il tessuto cittadino. “C’è un’area di maggiore associazione di islamici nei pressi di Viale Jenner, ma non è così forte come può essere quella dei cinesi in zona Sarpi” ci dice Alessio.

Per quanto riguarda il futuro, invece, abbiamo chiesto ad Ismu se è possibile fare una previsione sui fenomeni migratori: “Non sappiamo tra vent’anni come cambiano le condizioni economico-globali. Come Fondazione riteniamo, guardando le strutture demografiche, che i flussi dovrebbero arrivare ancora forti dal subcontinente indiano o dall’Europa dell’Est, ex Unione Sovietica. In prospettiva più ampia, tra 20 o 30 anni, il nuovo fronte potrebbe essere l’Africa sud-sahariana” conclude Manonna.
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