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Cronaca

Torturata e sciolta nell'acido la pentita scomparsa un anno fa: 6 arresti

Lea Garofalo è scomparsa nel mese di novembre 2009. Il rapimento e l'esecuzione sarebbero stati organizzati dal suo ex convivente, Carlo Cosco, da cui la donna ha avuto anche una figlia. Sei in tutto gli arresti

L a collaboratrice di giustizia Lea Garofano, scomparsa quasi un anno fa, è stata torturata prima di essere uccisa e sciolta nell'acido in un terreno a San Fruttuoso, vicino Monza. E' quanto emerge dall'ordinanza di custodia cautelare in carcere firmata dal gip milanese Giuseppe Gennari e notificata dai carabinieri del nucleo investigativo di Milano a sei persone. Si tratta di Carlo Cosco, ex convivente della donna 40enne, dei suoi fratelli Giuseppe detto Smith e Vito detto Sergio, rispettivamente di 46 e 41 anni, Massimo Sabatino, 37 anni, Rosarcio Curcio di 34 anni e Carmine Venturino di 32 anni. Per tutti le accuse contestate sono di omicidio e soppressione di cadavere tranne che per Curcio che avrebbe partecipato solo all'occultamento del corpo della donna, poi sciolto nell'acido.

La dinamica.
Secondo l'indagine ad organizzare il rapimento sarebbe stato proprio Carlo Cosco. L'ex convivente ha organizzato l'agguato mentre Lea Garofano si trovava a Milano con la figlia. Proprio con il pretesto di mantenere i rapporti con la ragazza, legatissima alla madre, Cosco ha attirato la sua ex nel capoluogo lombardo. Almeno quattro giorni prima del rapimento, ha predisposto un piano, contattando i complici, assicurandosi sia il furgone dove é stata caricata a forza, sia la pistola per ammazzarla "con un colpo", sia il magazzino o il deposito dove interrogarla, e infine l'appezzamento dove si ritiene sia stata sciolta nell'acido.

La distruzione del cadavere, per inquirenti e investigatori, ha avuto lo scopo di "simulare la scomparsa volontaria" della collaboratrice e assicurare l'impunità degli autori materiali dell'esecuzione. Autori che inquirenti e investigatori hanno identificato in Vito e Giuseppe Cosco, ai quali Lea Garofalo è stata consegnata dagli altri due complici destinatari dell'ordinanza e indicati come i rapitori. L'accusa di omicidio è stata ipotizzata con le aggravanti della premeditazione. A dare l'allarme per prima per la sparizione della donna era stata proprio la figlia della Garofalo e di Cosco.

Le indagini. A consentire una svolta nelle indagini è stata una cimice collocata nella cella del carcere di San Vittore a Milano dove è recluso Massimo Sabatino. Lui non lo sapeva, ma tutto quello che diceva veniva ascoltato e registrato dai carabinieri. Successivamente la collaborazione tra le Procure antimafia di Campobasso, Milano e Catanzaro ha consentito di mettere insieme tutti i tasselli e ricreare il fitto mosaico. Lo si è appreso nella conferenza stampa tenuta a Campobasso dal procuratore della Dda molisana, Armando D'Alterio, il quale ha più volte sottolineato il lavoro svolto dalle tre Procure, sotto il coordinamento dalla Direzione nazionale antimafia.

La tortura. Lea Garofalo prima di essere ammazzata "é stata torturata". Lo ha rivelato uno dei pentiti che con le sue dichiarazioni ha contribuito all'inchiesta della magistratura milanese sull'omicidio e sulla distruzione del cadavere della donna e per la quale la scorsa notte sono state notificate sei ordinanze di custodia cautelare in carcere. Il pentito, compagno di cella di Massimo Sabatino, in carcere a Campobasso da febbraio scorso per il precedente tentativo di sequestro e di omicidio di Lea Garofalo, ha riferito agli inquirenti 'la confessione' ricevuta dallo stesso Sabatino.

L'uomo, come emerge dal provvedimento del gip Giuseppe Gennari, ha raccontato agli inquirenti che i fratelli di Carlo Cosco, l'ex compagno della donna, e cioé Sergio e Giuseppe-Smith Cosco (tutti e tre arrestati) "hanno preso in consegna il furgone su cui si trovava la Garofalo, legata e imbavagliata. Successivamente - prosegue l'ordinanza - da Carlo Cosco ha saputo che la Garofalo è stata torturata in quanto da lei volevano sapere che cosa aveva dichiarato in ordine all'omicidio di un fratello di qualcuno legato a loro e che poi era stata sciolta nell'acido, così come era stato previsto nel piano concordato insieme".

La Garofalo ha collaboratorato con la giustizia a partire dal 2002, denunciando alcuni affiliati alle cosche della 'ndrangheta di Petilia Policastro (Crotone). Nel febbraio del 2006 il programma di protezione è stato revocato "poiché - spiega il sottosegretario all'interno, Afredo Mantovano - le sue dichiarazioni erano rimaste senza riscontri in base a quanto riferito dalla Procura competente".

"La signora Garofalo - continua Mantovano - aveva impugnato la decisione di revoca davanti al giudice amministrativo, e per questo le misure di assistenza e di tutela era rimaste invariate nei suoi confronti. Tutto ciò - aggiunge - è andato avanti fino al mese di aprile 2009, allorché l'interessata ha spontaneamente rinunciato ed è rientrata nel luogo di origine". "Nessuna richiesta di riammissione allo stesso programma da parte di nessuna autorità giudiziaria - conclude Mantovano - ha fatto seguito al suo volontario allontanamento. E' noto che il sistema di protezione non riesce se non vi è rispondenza da parte del soggetto tutelato".

Le ordinanze di custodia cautelare. Sono state chieste dal procuratore aggiunto di Milano Alberto Nobili e dai pm Marcello Tatangelo (dda) e Letizia Mannella. Gli arresti sono stati eseguiti tra Lombardia, Calabria e Molise e sono in corso perquisizioni.

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