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Venerdì, 29 Marzo 2024
Cronaca

Morte Rocchelli, l'avvocato Della Valle: «Markiv è innocente»

Secondo Raffaele Della Valle, Vitaliy Markiv è innocente: "Non era nemmeno lì. Faremo indagini private. Dipinto come un killer dai media"

Sarà il "principe del foro" Raffaele Della Valle, avvocato monzese già a fianco di Enzo Tortora, a difendere Vitaliy Markiv, l'italo-ucraino di 28 anni arrestato il 30 giugno dai carabinieri a Bologna, dove era appena atterrato, su mandato della procura di Pavia con l'accusa di avere ucciso il fotogiornalista italiano Andrea Rocchelli e il suo interprete Andrej Mironov (dissidente russo) nei pressi della città ucraina di Sloviansk il 24 maggio 2014, durante il conflitto con i separatisti filo-russi del Donbass.

E le prime parole dell'avvocato sono chiarissime: «Vitaliy Markiv non era presente sul posto al momento dell'accaduto». Da questo si capisce già la linea difensiva che terrà il giovane: si dichiarerà innocente. E' presto, comunque, per scendere nei dettagli delle carte, che pure Della Valle sta già iniziando a studiare. L'avvocato ha avuto un colloquio con Markiv di due ore e mezza nel carcere di Pavia e alla fine ha deciso di accettare l'incarico. 

Della Valle è uno degli avvocati più noti d'Italia. Negli anni '80, tra l'altro, difese il giornalista e presentatore televisivo Enzo Tortora, accusato ingiustamente di associazione camorristica e traffico di droga. Parallelamente Della Valle ha svolto attività politica nel Partito Liberale e poi, dal 1994 al 1996, è stato deputato di Forza Italia e vice presidente della Camera. In seguito ha lasciato la politica.

Morte Rocchelli, Della Valle alla tv ucraina: «Chi sa, ci dia una mano»

Venerdì la giornalista Yana Slesarchuk del canale televisivo ucraino "1+1" lo ha intervistato a Monza. «Ho conosciuto un ragazzo serio e preparato. E che è tornato nel suo Paese d'origine per difendere la Patria, prima come volontario e poi nell'esercito regolare. Una persona assolutamente diversa da come è stato dipinto dai mass media italiani, che lo descrivono come un delinquente assassino», ha affermato Della Valle alle telecamere di "1+1".

L'avvocato ha promesso che si metterà subito al lavoro per condurre indagini private e ha rivolto un appello agli ucraini: «Se ci stanno guardando quelli che erano insieme a Vitaliy Markiv, o che lo conoscono, chiedo loro di darci una mano e venire a testimoniare che fisicamente non poteva sparare».

I prossimi mesi saranno dunque dedicati alle indagini («sono pronto a venire a Kyiv a parlare coi testimoni se non possono raggiungere l'Italia», ha anche detto Della Valle) e poi, dopo agosto, si augura che avrà in mano una ricostruzione precisa di quanto accaduto quel giorno a Sloviansk. Un altro punto centrale, per Della Valle, è che «Markiv era un semplice soldato, non aveva nessuna autorità per comandare o dare comandi agli altri di aprire fuoco».

Morte Rocchelli: le indagini e le accuse a Markiv

Dall'ordinanza del gip, emerge che le accuse a Vitaliy Markiv (di omicidio) sono basate sulla testimonianza resa ai magistrati pavesi da William Rougelon, giornalista francese sopravvissuto al fatto di Sloviansk, il quale ha affermato che i colpi (prima di kalashnikov, poi di mortaio) provenivano dalla parte in cui si trovavano, su una collina, i militari ucraini (e non i separatisti).

Ma la procura ha in mano anche la conversazione telefonica che un "capo millitare" ebbe, nell'immediatezza dei fatti, con due giornalisti italiani, Marcello Fauci e Ilaria Morani. Quest'ultima ne riportò uno stralcio il 25 maggio 2014 sul Corriere della Sera. Il capo militare affermava che, dalla collina, gli ucraini sparavano a tutto ciò che vedevano, anche con «artiglieria pesante», e che questo era successo anche «all'auto dei giornalisti».

Nonostante il segreto professionale sul nome dell'informatore, gli investigatori sono poi risaliti a Markiv, che - secondo il gip - non poteva non sapere che si trattava di giornalisti, visto che erano scesi dal taxi e avevano iniziato a scattare fotografie. Questo anche se, dopo l'incontro con il misterioso quinto uomo che li avrebbe avvertiti di un imminente pericolo, non risulta che il gruppo, mentre cercava di allontanarsi dal posto in fila indiana distanziati l'uno dall'altro, continuasse a scattare foto. 

Ai primi colpi il gruppo trovò riparo nell'ormai famoso fossato, il luogo in cui Rocchelli e Mironov trovarono la morte. Nelle carte del gip la testimonianza di Rougelon non è completa: in un articolo di Repubblica del 24 maggio 2017 ne venne riportata una parte che potrebbe essere determinante quantomeno per non concludere con troppa fretta che si sia trattato di un agguato volontario degli ucraini regolari contro il gruppo.

Dichiara Rougelon (citiamo da Repubblica): «Noi eravamo coperti, nel fossato, nessuno ci poteva vedere». Che contraddice l'ipotesi che il gruppo fosse riconoscibile e che fosse palese che fossero giornalisti. E poi, dopo che Rocchelli e Mironov sono già morti: «Intanto sento dei rumori: c'era qualcun altro che era sceso nel fossato e che continuava a sparare. Io urlo: sono un giornalista, poi mi metto a camminare per andare via». Qualcun altro. Frasi, ripetiamo, che il gip ha ritenuto di non citare nell'ordinanza.

La comunità ucraina in Italia si schiera con Markiv

Intanto, subito dopo l'arresto, alcuni esponenti di associazioni ucraine in Italia hanno scritto una lettera aperta per manifestare «sgomento e preoccupazione» per quanto successo al militare: «Chi lo conosce - si legge - lo descrive come un ragazzo dalla condotta esemplare, con alto senso di giustizia e animato da sani valori patriottici». Ancora: «Siamo rimasti colpiti dai toni di alcune testate giornalistiche, che sembrano avere già 'condannato' Markiv sottoponendolo, in alcuni casi, a veri e propri fake che ne danneggiano l'immagine».

Il riferimento è a un servizio andato in onda sul Tg1, nel quale una intervista rilasciata da Markiv al canale Stb è stata descritta con una traduzione non corretta. Markiv parlava dei cecchini che, a febbraio 2014, a Kyiv, sparavano ai manifestanti inermi, ma la dichiarazione è stata "trasformata" nel racconto di Markiv al fronte a Sloviansk. 

La lettera dei rappresentanti delle associazioni si conclude con la solidarietà al giovane connazionale ma anche con la vicinanza alla famiglia di Andrea Rocchelli: «Condividiamo il suo diritto a conoscere la verità sulla morte del loro figlio. Speriamo che, grazie alla collaborazione fra la procura italiana e quella ucraina, la verità emerga presto e i veri assassini di Andrea vengano trovati e condannati».

Primo firmatario è Oles Horodetskyy, presidente dell'Associazione cristiana degli ucraini in Italia. Tra le firme troviamo l'Organizzazione cittadini immigranti, il Congresso degli ucraini in Italia, Italia-Ucraina Maidan, Rinascimento dell'Ucraina, Nuovi Confini, Comunità ucraina Marche e molte altre sigle di comunità locali in tutta la penisola. E poi oltre 500 firme di cittadini ucraini che vivono nel nostro Paese.

Il ministro dell'Interno vede l'ambasciatore italiano

Arsen Avakov, ministro dell'Interno dell'Ucraina, ha incontrato a Kyiv l'ambasciatore italiano Davide La Cecilia, a cui ha illustrato la posizione ufficiale del Paese sull'arresto di Markiv. «Non può essere coinvolto nella morte del fotoreporter Andrea Rocchelli e siamo pronti a fornire al giudice di Pavia tutti i documenti e a garantire la partecipazione di testimoni ucraini», spiega in un lungo post su Facebook, nel quale ricostruisce compiutamente i fatti finora a conoscenza. 

Rocchelli, Rougelon e Mironov sono arrivati, come è ormai noto, in taxi nella zona delle Ceramiche Zeus, vicino a Sloviansk. Secondo quanto risulta, e come riferisce Avakov, «erano senza segni distintivi per l'accreditamento dell'Sbu (Servizio di Sicurezza) per l'esercizio giornalistico nella zona Ato (Operazione antiterrorismo)». E lì sono stati colpiti.

Avakov si concentra in particolare sull'uso del mortaio, come sembra dalle indagini fin qui effettuate e dalle dichiarazioni del giornalista francese William Rougelon, sopravvissuto insieme al taxista e a un quinto uomo ancora senza nome. «Come riportato in un rapporto ufficiale della Guardia Nazionale - scrive il ministro - dal 20 marzo al 4 agosto 2014 le unità operative a Sloviansk erano equipaggiate solo di armi leggere (fucili e mitragliatrici). Armi di artiglieria non ce n'erano».

Inoltre la zona di Sloviansk era quasi interamente controllata dai separatisti. Il ministro dell'Interno spiega dunque che due sole versioni sono possibili stando all'indagine: «La prima: il crimine è stato commesso da formazioni illegali che hanno effettuato bombardamenti delle posizioni ucraine, e l'area in cui si trovavano i giornalisti è stata colpita accidentalmente; la seconda: la sparatoria è stata effettuata da membri paramilitari della cosiddetta "Repubblica Popolare di Donetsk"». E comunque, stando al post di Avakov, «le unità della Guardia Nazionale, compreso il battaglione Kulchytsky, non potevano effettuare un attacco di mortaio».

Il ministro aggiunge di conoscere personalmente Vitaliy Markiv con il soprannome "l'italiano". «Ci siamo incontrati al fronte, gli ho consegnato un premio di Stato per i suoi meriti militari».

Per quanto riguarda l'inchiesta, Avakov scrive che «i responsabili della morte del giornalista Rocchelli devono essere chiamati a rispondere e l'informazione deve essere aperta all'opinione pubblica. Forse, per una indagine completa e obiettiva, è necessario che la parte russa ci dia informazioni investigative sulla dislocazione delle truppe dalle parti di Sloviansk». Infine promette che le autorità ucraine coopereranno con quelle italiane. 

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