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Cronaca

Lo scrittore Pierpaolo Mandetta vittima di insulti omofobi: la denuncia e le lacrime

La denuncia su Instagram di Pierpaolo Mandetta, salernitano ma milanese d'adozione

"Non mi chiamavano ricchion* da quando frequentavo le scuole superiori, e oggi, a 33 anni, è successo proprio per mano di ragazzi di quell’età. Non li chiamerò bambini o ragazzini, come a sminuire la cosa o ad attenuarla, perché a quindici o sedici anni non sei un uomo, ma un minimo di educazione civile devi averla", esordisce così il racconto denuncia affidato a Instagram dello scrittore Pierpaolo Mandetta, salernitano ma milanese d'adozione.

Un episodio spiacevole di intolleranza avvenuto nel salernitano "intorno alle 17:30 - racconta - stavo lavorando nel Podere con un amico, ed è passato di fronte al casale un branco di sei ragazzi sui motorini. Passano sempre, ogni pomeriggio, con due cani sciolti, uno nero e uno marrone, ma in genere sono un paio di loro che arrivano fin lì. Stavolta c’era tutta la comitiva. Pensando che io fossi in casa e quindi di non essere visti, uno di loro ha urlato “ricchion*”. Poi si sono accorti che invece ero nel parco e che li avevo riconosciuti, così hanno accelerato e sono usciti dalla campagna".

"Penso siano tutti figli delle famiglie del Cafasso - spiega - il borgo di Capaccio Paestum (Salerno) in cui è situato il Podere. Non li conosco, non posso sapere se le loro famiglie sono di brave persone che non immaginano di avere figli di merda o se siano delle merde anche i genitori. Ma una cosa la so: credevo che non facesse più male. Di averla superata. Di essere un uomo che ha trasformato quei ricordi in cicatrici e che capisce che là fuori ci sono persone crudeli, bisogna solo resistere. Invece non è così".

"Ho fatto finta di niente, ho chiuso gli attrezzi nel capanno, sono salito in macchina per tornare a casa e quando ho messo in moto  confida Mandetta - sono scoppiato a piangere. Come se non fosse passato un giorno da quei tempi in cui quei ragazzi di quindici e sedici anni mi chiamavano ricchion* a scuola e mi rovinavano per sempre la vita. Come se avessi ancora paura, e adesso so che è così. Ho ancora paura del mondo".

"Io so perfettamente cosa vuol dire essere gay in un paese di provincia. Discorsi sull’orgoglio e sul combattere vanno a farsi fottere quando intorno a te hai persone che fanno in modo che tu sia socialmente evitato, escluso o chiacchierato, o quando hai intorno uomini, padri di famiglia, che fanno della virilità un vangelo e conservano il fucile nel garage, per risolvere i problemi. So perfettamente che tante persone diranno cose del genere alle mie spalle, che penseranno che io faccia schifo e va benissimo. A me non interessa niente di avere il rispetto degli sconosciuti o l’accettazione da gente orribile. Ma di certo non posso sopportare di essere insultato a 33 anni, di provare di nuovo paura nel posto che diventerà la mia casa e mi darà un lavoro. Non posso essere colpito al cuore - la sua denuncia -nel posto in cui vorrei sentirmi più al sicuro".

"Pubblico questa foto senza vergogna, non importa se così mi rendo vulnerabile o ridicolo, perché ripeto che non è una questione di forza, di lotta o resistenza. Fa male e basta. È - conclude Pierpaolo - una violenza e non è giusto. E la pubblico affinché chi li conosce capisca il dolore che possono causare dei ragazzi di quell’età. Perché se lo fanno a me, vuol dire che lo faranno anche a scuola, e magari stanno distruggendo l’adolescenza a qualcuno come successe ai miei tempi". Il racconto di Mandetta ha raccolto in poche ore molte segnalazioni di stima e di solidarietà anche dalle associazioni milanesi sensibili al problema che rappresenta oggi l'omofobia.

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