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Giovedì, 25 Aprile 2024
Cronaca

Tangenti Eni: chiesti 8 anni di carcere per Descalzi e Paolo Scaroni, presidente del Milan

Il magistrato chiede di confiscare ai gruppi petroliferi sotto accusa 1 mld e 92 mln di dollari

Otto anni di carcere per l’amministratore di Eni, Claudio Descalzi, e per il suo predecessore e attuale presidente del Milan, Paolo Scaroni.

Sono le principali richieste di condanna avanzate dal procuratore aggiunto di Milano, Fabio De Pasquale, con il pm Sergio Spadaro, al termine della sua requisitoria fiume nel processo sulla presunta maxi tangente da 1 miliardo e 92 milioni di dollari che Eni e Shell avrebbero pagato nel 2011 ad alcuni politici del Governo nigeriano per ottenere la concessione all’esplorazione del giacimento petrolifero Opl-245.

Il magistrato ha chiesto ai giudici della settima sezione penale di Milano di confiscare ai due gruppi petroliferi (sotto accusa per responsabilità amministrativa di società per reati commessi da propri dipendenti) 1 miliardo e 92 milioni di dollari, somma che equivale al prezzo della presunta maxi corruzione.

Eni: "Richieste di condanne prive di fondamento"

La risposta di Eni è affidata a un comunicato stampa in cui l'azienda con sede a San Donato Milanese dice di considerare "prive di qualsiasi fondamento le richieste di condanna avanzate dal Pubblico ministero nell’ambito del processo Nigeria ai danni della società, dei suoi attuale ed ex Amministratori delegati, e dei manager coinvolti nel procedimento".

"Nel corso della requisitoria - scrivono da Eni - il pm, in assenza di qualsivoglia prova o richiamo concreto ai contenuti della istruttoria dibattimentale, ha ribadito la stessa narrativa della fase di indagini, basata su suggestioni e deduzioni, ignorando che sia i testimoni, sia la documentazione emersa hanno smentito, in due anni di processo e oltre quaranta udienze, le tesi accusatorie".

"Le difese dimostreranno al Tribunale che Eni e il suo management operarono in modo assolutamente corretto nell’ambito dell’operazione Opl245", spiegano dall'azienda che rilanciano ricordando che Eni e Shell corrisposero per la licenza "un prezzo d’acquisto congruo e ragionevole direttamente al Governo nigeriano, come contrattualmente previsto attraverso modalità chiare, lineari e trasparenti; Eni, inoltre, non conosceva, né era tenuta a conoscere, l'eventuale destinazione dei fondi successivamente versati a Malabu dal Governo nigeriano, pagamento che peraltro avvenne dopo un’istruttoria dell’Autorità Anticorruzione della Gran Bretagna (SOCA)".

"Non esistono quindi - la conclusione a cui arriva Eni nel comunicato  - tangenti Eni in Nigeria e non esiste uno scandalo Eni. Eni ricorda i provvedimenti  del Dipartimento di Giustizia e dalla Sec americani, che hanno chiuso le proprie indagini senza intraprendere alcuna azione nei confronti della società. Le molteplici indagini interne affidate a soggetti terzi internazionali da parte degli organi di controllo della società avevano già da tempo evidenziato l’assenza di condotte illecite. Eni confida che la verità potrà finalmente essere ristabilita ad esito delle argomentazioni difensive che saranno svolte alla fine di settembre in attesa della sentenza del Tribunale".

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