Processo Rocchelli, la nipote di Mironov scrive alla corte: «Sbagliato citarmi sul film, ho cambiato idea»
Sophia Kayes contrariata per la citazione di un suo post su Facebook (poi cancellato da lei stessa) da parte dell'avvocato della famiglia Rocchelli
Una lettera alla corte d'appello per contestare la "chiamata in causa" da parte di un avvocato di parte civile. Succede a Milano, al processo di secondo grado sulla morte del fotoreporter Andrea Rocchelli in Ucraina, a Sloviansk, il 24 maggio 2014, per il quale è imputato il soldato italo-ucraino Vitaly Markiv, già condannato in primo grado a 24 anni di reclusione a Pavia.
La lettera è stata scritta da Sophia Kayes, nipote dell'altro morto, il dissidente e attivista russo Andrei Mironov, che era insieme a Rocchelli come suo interprete. La Kayes, che vive a Londra ed è attiva con il Belarus Free Theatre in esilio, ad agosto aveva scritto un post su Facebook per contestare il documentario (in uscita in autunno) "The Wrong Place", il cui titolo definitivo nel frattempo è stato cambiato in "Crossfire", che cerca di andare oltre la condanna a Markiv in primo grado per ricostruire effettivamente che cosa è successo a Sloviansk quel tragico giorno; ma poi aveva preso contatti con gli autori del documentario e la sua opinione era cambiata, tanto da avere cancellato il post.
Nonostante questo, Alessandra Ballerini, avvocato di parte civile dei genitori e della compagna di Rocchelli, il 15 ottobre in aula ha citato la Kayes (e quel post in particolare) per contestare l'indipendenza del documentario, che invece la difesa di Markiv aveva chiesto di acquisire agli atti. Così la Kayes ha inviato una email alla presidente della corte d'assise d'appello, Giovanna Ichino, che in aula il 23 ottobre ha annunciato d'averla ricevuta. Poi la nipote di Mironov l'ha resa pubblica in italiano e in inglese.
Il post cancellato ma ugualmente citato
«La corte e la giuria - scrive la Kayes, dalla versione inglese - dovrebbero sapere che disconosco le dichiarazioni che sono state lette a mio nome dall'avvocato Ballerini sul film precedentemente noto come "The Wrong Place" e ora intitolato "Crossfire - Fuoco incrociato". L'avvocato Ballerini non mi ha mai consultata sul suo proposito di leggere i miei commenti ormai obsoleti e non ha mai chiesto il mio consenso per rappresentare la mia posizione riguardo il suddetto film in aula».
«Dall'agosto 2020 sono emersi nuovi fatti cruciali sul documentario investigativo "Crossfire - Fuoco incrociato". Ho cambiato posizione a riguardo e ad agosto ho cancellato il mio post su Facebook. Attualmente ho accettato di collaborare con gli autori del film», continua la Kayes: Ora mi è chiaro che i miei dubbi iniziali sul film e sul titolo sono nati da problemi di comunicazione con gli autori. Ho basato la mia posizione sul film sulle opinioni personali su due degli autori. Ma come ha detto la nostra amica di famiglia e grande giornalista Anna Politkovskaya: "Ciò che conta è l'informazione, non quello che ne pensi". Quindi devo mettere da parte le emozioni e concentrarmi sui fatti e sulle informazioni ora disponibili».
Il film «sostenuto da importanti giornalisti internazionali»
La Kayes continua affermando che gli autori del documentario «concordano che non esistono "posti sbagliati" per i giornalisti, i difensori dei diritti umani e gli operatori umanitari». Inoltre il documentario, fa notare la Kayes, «è supportato dalla fondazione Justice for Journalists», tra i cui garanti siedono «ben noti giornalisti investigativi come Luke Harding del Guardian, Dmitry Muratov della Novaya Gazeta, l'americano David Satter» e tanti altri professionisti dei media con altissimi standard. Il documentario, secondo la Kayes, «farà luce sull'indagine e fornirà informazioni aggiuntive fondamentali, comprese quelle riguardo le parti che stavano sparando e da quali posizioni, quali munizioni sono state usate ed esattamente cosa era visibile dalla collina di Karachun».
«Delusa da quanto accaduto in aula»
La Kayes conclude dichiarandosi «incredibilmente delusa» per quanto accaduto il 15 ottobre, ovvero la citazione del suo post (poi cancellato) da parte dell'avvocato della famiglia Rocchelli. «La nostra famiglia non ha potuto avere voce in capitolo in aula, inoltre la mia opinione è stata travisata e manipolata, poi ritradotta da alcuni giornalisti italiani», si legge nella parte finale della missiva.