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Cronaca Senago

Ucciso e murato in una villa del '700 con l'aiuto della mafia a Senago (Milano): un nuovo arresto

I carabinieri hanno arrestato un altro presunto responsabile. La vicenda era iniziata grazie a un pentito

Ancora un arresto per l'omicidio di Lamaj Astrit, l'albanese di 47 anni il cui cadavere era stato scoperto 15 gennaio 2019 in un pozzo dietro il muro di una villetta in ristrutturazione a Senago. 

All'alba di martedì 13 ottobre i carabinieri dei nuclei investigativi di Monza e Caltannissetta hanno notificato un'ordinanza di custodia cautelare in carcere a carico di Salvatore Riesi També, già agli arresti domiciliari con la specifica imputazione di aver fatto parte dell'associazione "cosa Nostra". Secondo i detective il 45enne avrebbe partecipato all'omicidio commesso a Muggiò nel 2013.

Il corpo del 47enne - la cui scomparsa era stata denunciata nel gennaio del 2013 a Genova - era stato trovato in una dependance all'interno della "Villa degli occhi" di Senago. Le ossa erano "saltate fuori" dopo la "soffiata" di un pentito che aveva lavorato come manovale in una ditta che ha trasformato la struttura del Settecento in un residence con appartamenti di pregio.

A Marzo del 2019 i detective arrestarono i primi presunti responsabili. In manette una donna di 62 anni, una commerciante di gioielli di Genova — ritenuta la mandante — e tre uomini, accusati di essere gli esecutori materiali. Insieme a loro, tutti accusati a vario titolo di omicidio premeditato e occultamento e distruzione di cadavere, nell'indagine erano finite altre quattro persone, che erano già in cella per altri motivi: tre di loro avrebbero partecipato all'esecuzione, mentre un altro avrebbe preso parte soltanto alle fasi successive, aiutando i complici a far sparire il corpo.

La confessione del pentito siciliano

Le luci sul delitto si erano accese il 1° ottobre 2018: quel giorno un uomo, un pentito arrestato nell'ambito di un'inchiesta della direzione distrettuale antimafia di Caltanissetta, aveva iniziato a confessare di aver partecipato a un omicidio avvenuto il 15 gennaio del 2013 a Muggiò. 

Il cadavere della vittima, aveva spiegato lo stesso collaboratore di giustizia, era stato nascosto dietro il muro di una casa di Senago, in cui in quel periodo lui lavorava come manovale per una ditta che stava compiendo alcuni lavori di ristrutturazione. 

A quel punto, gli investigatori - coordinati dalla pm Luisa Zanetti della procura di Monza - avevano iniziato tutti gli accertamenti e a gennaio 2019 avevano recuperato il corpo e lo hanno identificato, scoprendo che si trattava di Lamaj Astrit, un albanese residente a Genova che al momento della morte aveva 41 anni e la cui scomparsa era stata denunciata dal fratello il 19 gennaio del 2013. 

Lo "sgarro" alla "donna sbagliata"

I militari erano riusciti a ricostruire il puzzle dell'orrore che aveva portato all'uccisione dell'uomo, con alcuni precedenti per droga.

La sua "condanna a morte", stando alle indagini, l'aveva firmata l'anno prima, quando aveva deciso di troncare la relazione con una 62enne siciliana residente a Genova da trenta anni, dove gestiva un negozio "Compro oro". 

Quella scelta non era andata giù alla ex, che lo accusava anche di averle rubato alcuni gioielli e che già anni prima aveva fatto picchiare un altro uomo che l'aveva lasciata. Così, la donna, stando alle indagini, si era subito rivolta alle famiglie mafiose di Riesi - sua città di origine - per chiedere che quello "sgarro" venisse punito. 

La trappola, l'omicidio e il cadavere distrutto

Il 15 gennaio 2013, dopo che alcuni riesini erano arrivati in Brianza, era scattato il "blitz". Lamaj era partito da Genova ed era andato in un box di Muggiò per una finta trattativa per l'acquisto di una partita di droga. Appena arrivato, sarebbe stato colpito alla testa, immobilizzato e strangolato con un filo di nylon. 

Il gruppo avrebbe quindi caricato il corpo in un'auto e lo avrebbe portato a "Villa degli Occhi", dove in quel momento c'erano dei lavori in corso, facendolo sparire nel pozzo dietro al muro. Ad aprire la strada agli altri sarebbe stato proprio il pentito, che all'epoca lavorava lì come operaio ed era in possesso delle chiavi della struttura. 

Quel cadavere è rimasto lì per sei lunghi anni, senza che nessuno si accorgesse di nulla e senza che killer e mandanti pagassero per quell'orrore.

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