Anarchici assolti per scontri alla Bottiglieria: manca prova che fossero stati loro a occupare
Per il giudice, resistere allo sgombero non significa necessariamente avere partecipato all'occupazione
Assolti quasi trenta giovani finiti sotto processo per l'occupazione della "Bottiglieria" di via Savona 18 (ribattezzata "Bottiglieria Okkupata"). I fatti risalgono al 2010. Per qualche mese, fino ad ottobre, gli antagonisti restarono nell'edificio, poi vennero sgomberati (con diverse tensioni) dalle forze dell'ordine.
Il proscioglimento è stato pronunciato cinque anni dopo, a ottobre 2015. Nessuna occupazione abusiva, quindi, secondo il giudice Monica Amicone che ha depositato le motivazioni il 2 marzo 2016. E, da queste, emerge la ragione della decisione del magistrato: i giovani sotto processo non erano necessariamente quelli che avevano "fisicamente" agito per l'occupazione dell'edificio. Non c'è prova insomma che lo avessero occupato, ma semmai soltanto che lo frequentassero.
E frequentare un centro sociale, di per sé, è «una prassi socialmente accettata». In punta di diritto, quindi, ad essere accusati di occupazione dovrebbero essere solo coloro che materialmente lo avevano occupato, non coloro che lo frequentano, seppure abitualmente. In astratto il ragionamento non fa una grinza: illogico sarebbe processare per occupazione abusiva le centinaia di migliaia di persone che, in trent'anni, si sono recate (magari una volta sola nella vita) al Leoncavallo.
La differenza sta piuttosto nel fatto che i giovani andati a processo furono protagonisti del tentativo di resistere allo sgombero, cosa che un semplice frequentatore magari non fa. Alcuni di loro salirono sul tetto e ci rimasero per due notti. Per il giudice, tuttavia, manca la prova che fossero stati proprio loro ad invadere l'edificio. Di qui l'assoluzione.
