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Cronaca Duomo / Via Orefici

Testamento Caprotti, cancellate le donazioni alla Pinacoteca Ambrosiana

La "lite" con l'istituzione milanese per un quadro che il patron di Esselunga voleva a tutti i costi fosse attribuito a Leonardo da Vinci

C'è una specie di "giallo" nel testamento di Bernardo Caprotti, patron di Esselunga, morto il 30 settembre 2016 a 90 anni (quasi 91) a Milano. L'imprenditore, di cui tutto si è detto, era anche un amante dell'arte. Ad esempio aveva contribuito al restauro della chiesa di via Verdi in cui si sono celebrati i suoi funerali (in forma strettamente privata). Ma possedeva anche una collezione di dipinti di valore. Tra questi un quadro che aveva donato alla Pinacoteca Ambrosiana, insieme anche ad altri. 

Funerali di Bernardo Caprotti (Ansa Foto)

Ma - nel testamento - l'imprenditore brianzolo cambia idea e cancella le donazioni alla Pinacoteca, per "ripiegare" sul Louvre di Parigi. E non perde l'occasione di vergare frasi al vetriolo per spiegare la sua decisione. Parla, infatti, di «dileggio» ricevuto dagli studiosi nominati dalla Pinacoteca e commenta che si sia trattato di una «esperienza molto negativa».

Nodo della discordia, la Testa di Cristo acquistata da Caprotti nel 2007 ad un'asta a New York, pagata 656 mila dollari a fronte d'una stima iniziale che arrivava fino a 450 mila dollari. Il dipinto reca una firma (Fe Salai 1511 Dino) da cui si intuisce che l'autore sia Salaino ("Fece Salaino") e che la tela risalga al novembre del 1511. Salaino è il soprannome di Gian Giacomo Caprotti (sì, omonimo), di Vimercate, che fece parte della scuola di Leonardo da Vinci a Milano. 

La tesi di Caprotti (Bernardo) è però che il dipinto sia - in realtà - opera di Leonardo stesso. Con questa convinzione, il patron di Esselunga dona il dipinto alla Galleria d'Arte Moderna della Pinacoteca Ambrosiana, che già ospita opere leonardesce tra cui il celeberrimo Codice. E il dipinto viene esposto nel 2013.

Caprotti: Esselunga chiusi per lutto

Il fatto, però, è che alla Gam non concordano per niente sull'attribuzione a Leonardo. A posteriori, i protagonisti del diverbio (lo storico dell'arte Pietro Marani e il prefetto dell'ambrosiana, monsignor Franco Buzzi) non esitano a spiegare a Repubblica che Caprotti voleva "imporre" l'attribuzione a Leonardo e che il "dileggio" - se ci fu - fu quantomeno reciproco.

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