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Venerdì, 19 Aprile 2024
Cronaca

Oltre 1 milione e 200mila euro rubati online: arrestati i truffatori (legati alla 'Ndrangheta)

Arrestate venti persone tra Italia e Romania. A capo della banda un 42enne calabrese

Un vero e proprio clan. Una organizzazione criminale strutturata e "squadrata", con tanto di capi, reclutatori e "cavallini". Nessun omicidio, né estorsione però, ma raggiri e truffe online perché - ammissione del procuratore aggiunto Alberto Nobili - "in questo modo il rischio giudiziario non è così elevato rispetto ai profitti". E di profitti, in effetti, loro ne avevano portati a casa molti, tanto che in soli otto mesi sarebbero riusciti a racimolare almeno un milione e duecentomila euro. 

Video | Le perquisizioni e gli arresti

Venti persone sono state arrestate giovedì mattina dagli agenti della polizia postale di Milano con l'accusa di associazione a delinquere finalizzata alla falsificazione del contenuto di informazioni informatiche, falsificazione di documenti di identità, codici fiscali e tessere sanitarie, frode informatica tramite furto ed utilizzo indebito di identità digitale e di utilizzo indebito di carte di credito mediante accessi abusivi ai sistemi informatici di home banking di correntisti. Dodici truffatori sono stati fermati in Italia - tra Milano, Bergamo, Reggio Calabria, Cosenza e Napoli -, mentre gli altri otto sono stati bloccati a Bucarest, dove la banda aveva stabilito la propria "sede operativa". 

La mail e il furto d'identità

Proprio da lì i tecnici - guidati da Ciprian A. e Stefan C. - si occupavano di svuotare i conti correnti delle vittime. Il modus operandi era sempre lo stesso: gli hacker attraverso il deep web ottenevano dei pacchetti di email "fresche" e verificate e a quel punto inviavano a quegli stessi indirizzi dei messaggi trappola per far scattare la truffa phishing.

Appena i proprietari delle mail provavano a scaricare l'allegato o a cliccare su un link presente nelle mail - che replicavano perfettamente quelle inviate da Poste italiane e dalle banche - i truffatori entravano in possesso di tutti i loro dati, compresi quelli per accedere ai conti correnti online. In altre occasioni, invece, la stessa banda era riuscita a copiare perfettamente i siti reali delle banche, spingendo così uomini e donne a inserire username e password.  

I "cavallini" e il conto svuotato in 4 ore

In quel momento scattava poi la seconda fase dell'operazione: i malviventi svuotavano le carte delle vittime e giravano i soldi su altri conti correnti aperti usando dei prestanome - oltre cento quelli a disposizione del clan - che andavano poi immediatamente a ritirare i contanti tenendo per sé il 10% del totale.

I "cavallini" - a testimonianza della preparazione della banda - spesso acquistavano Postepay o aprivano conti bancari a nome di altre persone, all'ignaro di tutto, che venivano scelte sui social network in base alla somiglianza fisica con l'uomo che si sarebbe poi recato a prelevare i soldi rubati. 

Durante le indagini, stando a quanto accertato dalla Postale, il clan ha mostrato di avere un'organizzazione maniacale, quasi militare. I "lavori" per prosciugare i conti, infatti, non duravano mai più di quattro ore e nel caso in cui una delle vittime dovesse ricevere un codice sul cellulare prima di autorizzare il bonifico, i truffatori erano in grado di bloccare la scheda sim del titolare del conto per poi far riattivare il suo numero su una "scheda vergine" in loro possesso. 

I due capi e la 'Ndrangheta

A fare da regia a tutto c'erano due italiani, entrambi di Reggio Calabria: il 42enne Giuseppe Pensabene, che comandava le operazioni da Bucarest sotto falso nome, e il suo socio italiano Salvatore Aragona, domiciliato a Sesto San Giovanni, che si occupava di reclutare i "cavallini" e di dividere i soldi.

I due, secondo l'indagine, erano proprio il punto d'approdo dei bottini, che arrivavano a loro o in contanti - trasportati dagli stessi "cavallini" all'interno di valigette - o attraverso bonifici fatti su conti correnti intestati ad altri prestanome. 

E di soldi da gestire Pensabene e Aragona ne avevano eccome, perché durante gli otto mesi in cui sono stati nel mirino della polizia avrebbero truffato 109 persone soltanto in Italia per un buco di oltre un milione e duecentomila euro. Dove siano finiti quei soldi, per ora, non è chiaro ma il filo che sta seguendo la procura di Milano - con la collaborazione dei colleghi di Reggio Calabria - porta direttamente alla criminalità organizzata calabrese. 

I rolex e i contanti

I nomi di Pensabene e Aragona - secondo quanto riferito dallo stesso pm Nobili, che ha coordinato l'indagine insieme al pm Francesco Cajani - sarebbero infatti collegati alla famiglia Tegano, da sempre padrona, insieme ai Di Stefano, della zona Nord di Reggio.

E un ulteriore indizio che potrebbe portare proprio in quella direzione potrebbe essere arrivato giovedì mattina, quando i poliziotti hanno sequestrato in una casa in Calabria oltre centomila euro in contanti e trentacinque Rolex di valore.

Il proprietario di quell'abitazione, anche lui, sarebbe un uomo vicino proprio a Pensabene e alle cosche.  

Foto - I Rolex sequestrati

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