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Cronaca

"Whatsapp non collabora contro l'Isis": la procura si arrabbia con l'ambasciata Usa

La protesta dopo le difficoltà riscontrate ad aprile nell'inchiesta sui presunti terroristi in Italia

Whatsapp ha negato la propria collaborazione alla procura di Milano nell'inchiesta sul terrorismo internazionale che ha coinvolto quattro persone, finite agli arresti, tra cui il pugile Abderrahim Moutaharrik. E la procura si è rivolta all'ambasciata Usa in Italia per protestare. La questione era emersa già il 28 aprile, quando è stato comunicato alla stampa l'esito dell'inchiesta. Ma i contorni sono stati definiti soltanto negli ultimi giorni.

La procura stava intercettando i messaggi che alcuni degli indagati si scambiavano via Whatsapp dopo avere installato un virus nello smartphone di Wafa Koraichi, sorella di un latitante arruolatosi nell'Isis in Siria. Ma la sera del 25 marzo è scoppiata una lite furibonda tra la ragazza e il padre, in seguito a cui lo smartphone è stato distrutto. 

A questo punto la procura ha chiesto alla società Whatsapp di fornirle l'accesso al server in cui i messaggi vengono memorizzati mentre arrivano al destinatario. Era il 13 aprile. La risposta della società è arrivata due giorni dopo, ma non esattamente conciliante: poiché i server sono negli Stati Uniti, occorre una rogatoria. La procura di Milano, il 20 aprile, ha ribattuto che si trattava di una urgenza, con un'indagine per terrorismo di mezzo, e ha chiesto quali fossero le procedure di emergenza interne in casi come questo. 

Il 25 aprile Whatsapp ha replicato spiegando di avere bisogno di chiare indicazioni su "eventuale serio rischio di morte", quanto imminente è questo rischio e quale attinenza - rispetto al rischio - ha un dato specifico come può essere un messaggio di testo. Come se, detto per inciso, si possa stabilire l'attinenza di un testo a qualcosa prima di avere letto il testo stesso.

La procura di Milano non ha rinunciato a cercare in altro modo di intercettare i sospetti. Molto probabilmente è riuscita a installare un virus in un altro smartphone. Si arriva agli arresti: così la procura scrive nuovamente a Whatsapp, spiegando che l'emergenza è cessata ma chiedendo anche, per il futuro, con un po' di polemica, se la possibilità che l'Isis organizzi un attentato è abbastanza "emergenziale". L'ultima parola a Whastapp, che replica che, senza informazioni più precise, poteva anche essere semplice propaganda.

Tutto finito? No, perché - come dicevamo - la procura si è presa la briga di scrivere all'ambasciata. Parlando di "forte preoccupazione" per la mancata collaborazione dell'azienda, e chiedendo che il tutto sia trasmesso al dipartimento di giustizia degli Stati Uniti.

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