Inviare foto hard e sessuali a minori è considerata "violenza sessuale"
Il tribunale del Riesame di Milano aveva confermato la custodia cautelare in carcere contro la tesi difensiva. E la Suprema corte gli dà ragione
Inviare foto hard a minorenni via Whatsapp, o altri sistemi di messaggistica istantanea, è pari al reato di "violenza sessuale". E si rischia il carcere. La terza sezione penale della Cassazione, infatti, con una sentenza depositata nelle scorse ore, ha respinto il ricorso della difesa di un 31enne - ora ai domiciliari - che era indagato per aver inviato una serie di messaggini "allusivi e sessualmente espliciti" a una ragazzina non ancora maggiorenne, assieme a una foto hard e alla richiesta di ricevere un'immagine dello stesso genere da lei "sotto la minaccia di pubblicare la chat" su un altro social e pagine hot.
Il tribunale del Riesame di Milano aveva confermato la custodia in carcere disposta dal gip per l'indagato, e la difesa, quindi, si era rivolta alla Suprema corte sostenendo che, nel caso in esame, non fosse contestabile il reato di violenza sessuale, ma, al limite, quella di adescamento di minore, perchè, rilevava il difensore, "mancava l'atto sessuale", non essendo "avvenuto alcun incontro" tra i due, così come era da escludersi il 'child grooming', ossia "la pratica di adescamento - osservava la difesa nel ricorso - di un soggetto minorenne in internet, tramite tecniche psicologiche volte a superarne le resistenze ed ottenerne la fiducia per abusarne sessualmente".
Secondo la difesa, quindi, "la condotta tenuta dall'indagato non aveva intaccato la sfera sessuale della minore per assenza di una qualsivoglia richiesta di rapporto sessuale volta al soddisfacimento dei propri impulsi".
La Cassazione, invece, ha ritenuto "solida e ben motivata" la decisione del Riesame, secondo cui la "violenza sessuale risultava pienamente integrata, pur in assenza di contatto fisico con la vittima, quando gli atti sessuali coinvolgessero la corporeità sessuale della persona offesa e fossero finalizzati e idonei a compromettere il bene primario della libertà individuale nella prospettiva di soddisfare o eccitare il proprio istinto sessuale": in particolare, i "gravi indizi di colpevolezza" del reato contestato erano stati ravvisati "nell'induzione allo scambio di foto erotiche, nella conversazione sulle pregresse esperienze sessuali ed i gusti erotici, nella crescente minaccia a divulgare in pubblico la chat", spiega ancora la Corte.