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Cultura

Il libro sull'università diffidato prima della pubblicazione: l'autore lo trasforma in spettacolo

Il monologo di Matteo Fini, dottore di ricerca con anni d'insegnamento alle spalle in Statale

Un libro che c'è, ma non è stato mai pubblicato, diventa uno spettacolo che l'autore porta in giro per l'Italia. E' "Università e puttane", scritto da Matteo Fini, classe 1978, comunicatore con un passato di ricercatore alla Statale di Milano. Lo spettacolo-monologo è un racconto sulla genesi del volume ma soprattutto sullo "stop" preventivo alla pubblicazione. Ed offre uno spaccato non proprio edificante su come funziona l'università - e il reclutamento - in Italia, tra concorsi presunti pilotati e altre amenità.

Lo spettacolo ha fatto tappa a Milano, al Palo Alto, giovedì 26 novembre. Sala piena, molti gli ex studenti di Fini, rimasti legati a quel "ragazzo poco più grande di loro" che si fermava a parlare in cortile dopo le lezioni.

Quello che doveva essere un semplice libro è diventato un "caso" quando l'autore ne ha pubblicato tre (brevissimi) stralci sul suo profilo Facebook. Ricevendo immediatamente tre diffide alla pubblicazione con tanto di richiesta (non rispettata) di togliere gli estratti. «Lui alla disperata ricerca di una donna, lei alla disperata ricerca di un lavoro. 'Sella, tu vai con Cavallo, un accoppiamento già fatto'»: è uno degli estratti incriminati, tanto per dar l'idea di quanto fossero "diffamatori". 

Partendo da questi estratti, Fini - persona molto autoironica e si vede e si sente - racconta quasi divertito ciò che è successo dopo: un articolo su L'Espresso che racconta le diffide e gli attacchi che gli sono arrivati dopo: non è vero che l'università è così, non è vero che i concorsi sono pilotati, tu non hai abbastanza esperienza da ricercatore per parlare, tu sicuramente hai appoggi nei mass media perché tuo padre è Massimo Fini. «Lo sapete - spiega "Matte" - dove lavora mio padre? Al Fatto Quotidiano. Sapete, dei grandi quotidiani italiani, qual è l'unico che ha ripreso la notizia e l'ha fatto attaccandomi? Il Fatto Quotidiano. Grazie papi».

La seconda parte dello show è la lettura di qualche breve estratto del libro che non c'è (a proposito: dal 26 novembre, in free download, i primi due capitoli sul sito ufficiale di Matteo Fini). Particolarmente istruttivi i racconti dei concorsi. Ad uno di questi, ad un certo punto ci si era accorti che i candidati scrivevano con penne di diversi colori, col rischio di essere riconosciuti. Allora i commissari hanno distribuito Bic nere a tutti. Peccato però che tra i candidati stessi vi fosse uno straniero che, il tema, lo ha redatto in inglese. «Però con la stessa penna, eh». 

O quel concorso per soli titoli (senza esame, quindi), a cui Fini ha partecipato per due borse di studio in palio insieme a due neolaureate. Lui già dottore di ricerca con vari anni d'insegnamento alle spalle. Concorso - si badi - attinente alla sua esperienza. Risultato: Fini arriva terzo. «Ma non è questo ad avermi fatto incazzare - precisa - perché in effetti non avevo tutti i parametri per avere diritto alla borsa. Per esempio ne avevo già presa un'altra. Quindi mi hanno fatto arrivare terzo per evitare che poi si aprisse il caso, con una procedura burocratica. E va bene, lo capisco. Ma il problema è che mi hanno dato punteggio zero. Col dottorato di ricerca. Avrebbero potuto darmi un punto in meno delle altre due».

Dopo le diffide preventive e un iniziale smarrimento, Fini si è consultato con un avvocato («il migliore in Italia sulla diffamazione»), che lo ha rassicurato: «Chiedono una censura preventiva che neanche Stalin», sarebbero state le parole del legale. Ma soprattutto, mentre usciva il pezzo sull'Espresso con le relative risposte "accademiche", a Fini sono arrivati migliaia di messaggi di incoraggiamento da parte di altrettanti giovani ricercatori di tutta Italia. «In privato, su Facebook, ricevevo tutti questi messaggi con scritto soltanto 'grazie': perché non c'era bisogno di aggiungere altro. Perché la mia storia è la storia di tanti altri, che condividiamo, che conosciamo già. Sono questi messaggi - spiega Fini - ad avermi spronato ad andare avanti e a raccontare questo libro». Che c'è, ma non c'è. Perché è stato scritto ma non (ancora?) pubblicato.

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