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Dossier L'inchiesta

I broker della droga e l’hawala di “Luca il cinese”

L’indagine che ha coinvolto l’ex procuratore degli arbitri Rosario D’Onofrio mette sotto i riflettori il sistema di pagamenti “fiduciario”. La base nel cuore della Chinatown milanese

Via Canonica, civico 29. Un negozio di borse non meglio identificato nella Chinatown milanese, un fiume di contante e un nome che non ha un corrispondente volto: “Luca il cinese”. Tanto basta alla Guardia di finanza milanese perché dietro a questi tre elementi si consumava un traffico internazionale di marijuana e hashish che in 2 anni ha portato in Italia 6 tonnellate di marijuana e hashish.

Il tutto a “botte” di decine di migliaia di euro in contante affidate a “Luca il cinese”, per lo spostamento al destinatario del denaro contante tramite il sistema dell’hawala. Tutto organizzato sul sistema di chat criptate Encrochat, diventato negli anni fondamentale per i broker della droga di mezzo mondo, ma “sfondato” dagli investigatori di Olanda e Francia qualche anno fa. Un vaso di pandora che si è aperto, agevolando il lavoro degli inquirenti.

Tuttavia, il cinese è ancora ignoto agli investigatori, ma il traffico è stato stroncato con 39 arresti ordinati dal giudice per le indagini preliminari Massimo Baraldo, alcune delle quali eseguite in Spagna e Olanda. Sono il risultato dell’operazione Madera della Direzione distrettuale antimafia di Milano coordinata dai pm Sara Ombra e Rosario Ferracane.

“Luca il cinese”, fiumi di contante e un patto di fiducia

A lui, “Luca il cinese”, che sarebbe il gestore di un negozio di borse, (così emerge dalle chat) si rivolgono più volte i trafficanti italiani per spedire denaro. Grazie alle chat decriptate la guardia di finanza scopre un invio da 180 mila euro a Barcellona al fornitore chiamato “Lushfrost” per il pagamento di una partita di droga, che frutta una commissione di 2.700 euro all’intermediario Luca.

Ovvero l’1,5% della somma, un valore basso e molto competitivo che rende questo sistema appetibile per spostare anche somme considerevoli. La parola d’ordine usata per consegnare prima e sbloccare il denaro era il numero di serie di una banconota da 5 euro. Denari poi lasciati in un “negozio di borse” si evince dalle chat, dalle parti di via Sarpi, che gli inquirenti non hanno identificato. Non è difficile pensare però che visti gli incontri in via Canonica al 29, sede di un anonimo palazzo, le consegne avvenissero poco lontano tra le vie Rosmini e Albertini. Queste ultime sedi, come ha potuto verificare Dossier, di attività di pelletteria aperte e chiuse negli anni di cui una riconducibile al biglietto da visita lasciato da "Luca il cinese" e scambiato dai trafficanti via chat. In un'altra Chinatown si finisce invece seguendo il flusso di denaro del sistema hawala verso la Spagna: si arriva alla località turistica di Badalona a una decina di chilometri dal centro di Barcellona, all'interno di alcune attività della zona.

Cosa è e come funziona il sistema “hawala”

Spostare denaro anche a grandi distanze senza che si muova di un millimetro dal luogo dov’è fisicamente collocato. Non è un miracolo di qualche applicazione tecnologica prestata alla finanza e alle transazioni monetarie, ma un sistema arcaico fortemente radicato nei paesi islamici e basato su una grande fiducia personale tra le parti coinvolte che sta pian piano prendendo piede anche nei sistemi malavitosi milanesi. Gli arabi lo chiamano “hawala” o talvolta “hundi”; è invece il “fei chi’en” per cinesi.

Nomi molto diversi per un unico sistema che alcune inchieste coordinate dalla procura di Milano stanno mettendo a fuoco non senza apprensione. Perché si presta anche al riciclaggio di somme di denaro che provengono da attività criminali usando questo canale che ha il pregio di essere decisamente discreto. In alcuni paesi arabi e asiatici, tra cui Emirati Arabi Uniti, Pakistan, Afghanistan e India, è un metodo lecito perché evita che il denaro contante sia spostato molte volte ed essere così intercettato dai predoni.

Ma nella maggior parte dei paesi, tra cui l’Italia, è vietato in quanto non è possibile tracciare il suo percorso come si fa con i normali canali bancari e con le reti di money transfer. Senza tracciamento, ovviamente, manca tutta l’attività di segnalazione alle autorità antiriciclaggio tra le quali l’Uif di Banca d’Italia.

Ma come funziona questo sistema, l'hawala, nel concreto? Semplificando, si può dire che colui che deve trasferire il denaro lo consegna a un “hawaladar”, una sorta di broker che raccoglie il denaro in contanti e che solitamente ha un’attività lecita che faccia anche da paravento per quella illecita. Ovvero Luca il cinese raccontato nell’ordinanza. Viene poi avvisato il suo omologo del luogo dove la somma va erogata che effettua il pagamento con le proprie disponibilità solo dopo un sistema collaudato di verifiche e parole chiave che rendono univocamente riconoscibile il destinatario della somma.

In questi due passaggi il denaro, come si è visto, non si sposta ma saranno i due hawaladar che provvederanno poi a compensare tra di loro le varie partite a credito e a debito che formano nel tempo con varie formule, in un rapporto che mette al centro la fiducia innanzitutto tra questi intermediari senza la quale un sistema che poggia su questa operatività non potrebbe funzionare evidentemente.

Un metodo che si rivela molto utile per riciclare denaro rendendo difficile associarlo alle persone che compiono questo reato e che minimizza i passaggi di denaro.

“Rambo” e gli affari durante i lockdown

Così per almeno 3 anni i trafficanti seguiti nell’operazione Madera hanno fatto affari, anche durante la pandemia. Lo dimostra la vicenda di Rosario D’Onofrio, alias “Rambo”, ex militare sospeso per motivi disciplinari poi procuratore capo degli arbitri di calcio italiani. Era proprio lui a recarsi al 29 di via Canonica per incontrare “Luca”.

Un lavorìo che non si è fermato nemmeno durante i lockdown imposti dalla pandemia da Covid-19: “Io vado in giro e faccio quello che voglio”, scriveva agli altri del gruppo di trafficanti. Come? Infilandosi una mimetica, probabilmente riesumata dal passato militare, e aggirandosi indisturbato per la città. “Io vado vestito da Rambo”. Diceva D’Onofrio. Così 180mila euro più una commissione da 2.700 arrivano nelle mani del non meglio identificato “Luca il cinese”, che a sua volta si rivolgerà a un suo “collega” per far arrivare definitivamente i fondi al beneficiario finale.

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Significativa la traiettoria di una delle consegne: il terzo coinvolto esportava anche la valuta oltre confine per depositarlo sui conti correnti di banche croate, dove esiste un tetto al deposito del denaro contante, ma che con i suoi 15mila euro, è quello, per i privati, più alto in Europa. Entro quella cifra non partono le segnalazioni e le verifiche antiriciclaggio. Proprio in una delle intercettazioni agli atti, la donna protagonista di questi versamenti dice apertamente di aver aperto apposta quel conto per evitare la normativa italiana. Un rischio esportare la valuta, ma evidentemente correrlo è valsa la pena per alcuni anni.

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Il sistema Hawala a Milano

Prima dell’operazione Madera erano già emersi a Milano altri due sistemi di hawala. Il primo nell’indagine Cash away del 2018 dei sostituti procuratori Francesca Crupi e Adriano Scudieri, che aveva svelato un meccanismo piuttosto complesso che girava intorno ad alcune persone di origine araba e che si era rivelato più articolato di quello emerso ultimamente con l’indagine Madera.

In particolare, le indagini avevano puntato sull’egiziano Haj Ahmad (è il nome in codice), titolare al tempo a Milano in piazza Selinunte di un’agenzia di viaggi, che si sarebbe rivelato poi l’hawaladar al centro di una rete importante di persone di supporto e scambi che avrebbe movimentato 100 milioni di euro e con commissioni tra il 2 e il 5%. Insieme a lui il siriano Abu Abdo (nome in codice), titolare di una società che commerciava in automobili in provincia di Milano e anch’esso importante broker.

A fianco a loro altri soggetti e tra questi molti “imprenditori” italiani. Denaro che era spostato in vari paesi esteri (tra cui Repubblica Ceca, Malesia, Francia, Danimarca e Belgio) con il metodo dell’hawala per quella che a tutti gli effetti era apparsa agli investigatori una banca clandestina, ovviamente vietata dalla legge. Addirittura, in questa organizzazione i proventi dell’attività di hawala erano ulteriormente riciclati grazie a un articolato sistema di emissione di fatture false.

L’indagine Cash away è stata, nei fatti, la prosecuzione di un’inchiesta aperta nel 2015 che rappresenta la prima evidenza dell’attività di hawala a Milano. Anche in questo caso la gran parte della rete di persone era di origine egiziana e siriana, che utilizzava questo metodo per riciclare e spostare denaro frutto di traffico di droga, immigrazione clandestina e altri reati. Nel 2018 i protagonisti di questa vicenda sono stati condannati in primo grado con rito abbreviato dal gup di Milano Chiara Valori.

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