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Dossier In cerca di un tetto

Con 3 bambini piccoli costretti a dormire fuori al gelo

Abbiamo seguito una famiglia in cerca di un tetto per passare la notte al caldo. Sistematicamente respinti: il piano del Comune si rivolge a persone adulte, mentre per le famiglie poche alternative. Così Idris, Hamidah e i 3 bimbi restano al gelo

Se sei uomo, adulto e solo puoi trovare un posto caldo dove alloggiare e passare la notte. Se hai dei figli, anche molto piccoli, ottenere una soluzione non è altrettanto semplice.

L’abbiamo scoperto un venerdì mattina di fine novembre a Milano. È una di quelle giornate umide e fredde, con l’aria gelida che penetra nelle ossa. Non ci sono più di 5 gradi. Idris, Hamidah (nomi di fantasia, ndr) e i loro tre figli rimarranno probabilmente per strada. Questa notte e forse anche le successive.

Via Sammartini è ormai simbolo delle partenze e degli arrivi alla Stazione Centrale di Milano. Da poco più di un anno ha aperto il Mercato centrale negli spazi della stazione abbandonati da decenni, dove un tempo si faceva la spesa a prezzi popolari. Oggi tra i banchi si trova cibo di qualità, cucinato dagli chef più in voga del momento e a cifre ben più alte.

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Lo stesso nome – Sammartini – circola scritto a penna su fogli di carta sgualciti, su post-it strappati. Passa di mano in mano tra chi è appena arrivato in città, a volte dopo aver attraversato il Mediterraneo e prima il Sahara. Chi non sa dove andare né come orientarsi si incammina verso questa destinazione: via Sammartini 120. Quasi tutti i migranti che passano dalla stazione ricevono questa informazione.

A questo civico c’è un centro di primo aiuto e smistamento che accoglie le richieste di chi si trova in difficoltà e cerca del cibo, un alloggio e altri servizi primari. In molti, senzatetto e migranti appena arrivati, fanno la coda fuori perché l’accesso è contingentato per le norme anti-covid. All’interno c’è un salone d’attesa molto grande con diverse file di sedie distanziate tra loro. Per accedere allo sportello, si prende un ticket e si aspetta di essere chiamati. Come in un ufficio qualunque di un’amministrazione pubblica. Con l’avvio del piano freddo del Comune di Milano, il centro è aperto anche il sabato, la domenica e nei giorni di festa. 

Non adatto alle famiglie

Idris e Hamidah aspettano fuori. Si appoggiano a un passeggino – di quelli a due posti – schiacciato da due valigie pesanti che contengono tutto quello che possiedono. Con una mano Idris tiene il telefono. È in corso una chiamata, che mette in vivavoce. Stanno cercando di capire cosa sarà di loro e dei tre bimbi di 5, 4 e 1 anno. Lo sguardo intanto è rivolto verso i due più grandi che corrono su e giù dal marciapiede. La più piccola dorme sulla schiena della mamma, avvolta in una fascia.

Dall’altra parte della cornetta c’è il servizio accoglienza e migranti della Caritas. L’addetto del centro Sammartini ha detto loro di chiamare quel numero: “Fate un tentativo”. Ma un posto non c’è. “Purtroppo non so dove potervi mandare, non c’è nulla nel nostro circuito di accoglienza per persone migranti”, spiega l’operatrice.

Il piano per l’emergenza freddo di Palazzo Marino non si rivolge alle famiglie, ma solo agli adulti. Se si contatta il numero dedicato, spiegano che a vivere in strada sono principalmente uomini di mezza età

Chiedere aiuto alla Diocesi è già di per sé una soluzione di ripiego perché sembra non ci sia un posto dove accoglierli: il piano per l’emergenza freddo di Palazzo Marino non si rivolge alle famiglie, ma solo agli adulti. Se si contatta il numero dedicato, spiegano che a vivere in strada sono principalmente uomini di mezza età. 

Del centro di via Aldini, gestito dalla onlus Progetto Arca e con alcuni posti a disposizione delle famiglie in emergenza abitativa, Idris e Hamidah sembrano non sapere nulla. “Provate a tornare a Viterbo”, consiglia l’operatrice Caritas al telefono. Nella città laziale hanno ottenuto il permesso di soggiorno per protezione speciale, un documento che tutela chi non può ottenere l’asilo, ma è considerato a rischio di persecuzione e tortura nel Paese d’origine.

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Vite precarie: Idris, Hamidah e i loro figli

Idris e Hamidah vengono dalla Nigeria. Arrivati in Italia si sono fermati a Viterbo, dove hanno ottenuto il permesso di soggiorno e sono nati due dei tre figli. Poi la Germania, dove hanno provato per qualche tempo a stabilirsi, e ancora Viterbo.

“But there’s no place, there’s no place there” (ma non c’è posto là, ndr), ci racconta Hamidah. È stanca ed esasperata. Ha vissuto in strada con i figli per cinque mesi, mentre Idris lavorava come operaio. Un lavoro di un mese e mezzo, trovato tramite un’agenzia di somministrazione. Scaduto il contratto, nessun rinnovo. E così decidono di prendere un pullman notturno della compagnia Flixbus – tre biglietti per cinque persone – e partono. Direzione Milano. Per cercare un lavoro e una casa.

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L’odissea di chi arriva 

Hanno uno di quei fogli in tasca con la scritta ‘Sammartini 120’. Qui però non trovano quello che cercano. Le soluzioni per l’emergenza freddo non li riguardano, anche se di notte le temperature si avvicinano allo zero. Potrebbe forse rientrare nel piano di Palazzo Marino solo Idris, anche se non nell’immediato. Prima di avere un posto letto, c’è una procedura da seguire che prevede uno screening sanitario, gestito dalla onlus Medici volontari italiani.

Per l’esito di alcuni test, come quello di Mantoux per la tubercolosi, l’attesa è di qualche giorno. Ma un operatore ci spiega che potrebbe passare anche una settimana. Nel frattempo, si resta fuori, si dorme all’addiaccio e si cerca di capire come organizzarsi il giorno successivo. In queste condizioni trovare un lavoro è un miraggio.

Il Piano freddo per salvare chi dorme in strada

Per Hamidah e i tre figli sembra non esserci proprio una soluzione. Anche il servizio di pronto intervento minori è al completo. In genere non si occupano di casi come il loro, ma le famiglie migranti in arrivo in città sono sempre più numerose e se hanno dei posti all’interno delle comunità che gestiscono li mettono a disposizione. Pure diverse realtà del terzo settore, laiche e religiose, che abbiamo contattato sono già piene.

Abbiamo capito come funziona questo sistema dopo diverse telefonate fatte insieme a Idris e a Hamidah. Si sono incagliati in un iter burocratico complesso e hanno fatto fatica a comprendere le informazioni più basilari.

Hanno trascorso la mattinata al freddo, senza un posto al coperto dove riposarsi dopo il viaggio. Anche i centri diurni, negli spazi di Ferrovie dello Stato lungo via Sammartini, non hanno delle insegne chiare e non spalancano le porte.

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Al civico 126 c’è l’hub nuovo di zecca dedicato all’emergenza Ucraina: uno spazio polifunzionale, che ha anche un’area gioco per i bambini. Il giorno dell’arrivo della famiglia di Idris è deserto. “Ma loro non possono entrare”, ci dicono.

Poco più avanti c’è un centro diurno gestito dalla Caritas: ci sono tavoli, sedie, bagni, un computer e la connessione a internet. Oltre a diversi laboratori in alcuni momenti della giornata per i senzatetto che lo frequentano. “Non possiamo farli entrare perché non è un luogo adatto a minori”, spiegano. 

Anche cercare del cibo in zona è un’impresa. Non ci sono bar, supermercati e negozi. Dovrebbe esserci uno spazio, gestito dalla onlus Progetto Arca, dove distribuiscono del cibo: sacchetti con alimenti in scadenza portati dai supermercati. “Li consegniamo solo dopo le 16”, chiariscono, mentre lasciano ai bambini dell’acqua, dei crackers e delle caramelle. Per questa famiglia raggiungere una mensa per senzatetto è impossibile. Hanno un passeggino carico di bagagli e hanno finito i soldi.

Li vediamo scomparire lungo via Sammartini, verso la Stazione Centrale. Non sanno come poter comprare un biglietto: vorrebbero raggiungere un amico a Sibari, in Calabria, che forse può ospitarli. Il viaggio Milano-Sibari dura oltre dodici ore.

famiglia-piano-freddo-sammartiniDall’altra parte, la via incrocia il naviglio della Martesana, da qualche tempo senz’ acqua per alcuni lavori di manutenzione. Lì vivono altri invisibili, nascosti da tutto e da tutti. Nessuna delle associazioni che presidia la zona sa chi sono. Alcuni vivono sotto il ponte, altri sono nascosti lungo l’argine. A lasciare traccia, una bicicletta legata alla cancellata, un lenzuolo liso usato come tenda, dei panni stesi e dei cartoni.

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