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Dall'Ara, top manager S&V: «Quote rosa? Irrispettose per le donne, ma utili»

Il governo dà l'ok per l'obbligo di quote rosa al 30% nel CdA, a partire dal 2015. Abbiamo intervistato una delle top manager milanesi più in vista, Franca Dall'Ara, di Salmoiraghi & Viganò. Ecco cosa ne pensa

E' notizia di poche ore fa il ritiro, da parte del governo, del parere negativo sull'emendamento sulle quote rosa (30% di donne) nei consigli di amministrazione delle aziende quotate in Borsa o a partecipazione pubblica. La parte (obbligata) di donne nei CdA sarà attiva, quindi, nel 2015. Tutto questo aspettando il voto del senato.

Su quest'argomento - e molto altro - meglio non poteva calzare che l'opinione di una delle top manager milanesi più in vista, Franca Dall'Ara, direttore generale di Salmoiraghi & Viganò. Nata a Mantova, ma cresciuta a Bresso, la Dall’Ara si è laureata in giurisprudenza alla Cattolica di Milano, iniziando la carriera nel 1985 in Telecom, in qualità di esperta di relazioni sindacali. Nel 1990 passa alla Manzoni Pubblicità, come assistente al direttore del personale. Quattro anni più tardi l’ingresso in Salmoiraghi & Viganò, con l’incarico di direttore del personale. Nel 2003 ottiene l’incarico di amministratore delegato della controllata VistaSì e dal 2009 ricopre l’incarico di direttore generale. MilanoToday l'ha intervistata in esclusiva.

In Italia secondo i dati Eurostat le donne che lavorano sono poche rispetto al resto d'Europa. Quali sono, secondo lei, le principali ragioni? Ritiene che l'area lombarda e milanese in questo siano differenti dal resto d'Italia?

La percentuale di donne lavoratrici italiane rispetto alle medie europee continua ad essere molto bassa; credo che ci siano principalmente due ragioni. La prima è certamente relativa alle politiche di sostegno alla famiglia che risultano ancora molto deboli, così come le azioni di supporto dei Comuni in materia di asili nido. Un’altissima percentuale di donne, ancora oggi, lascia il lavoro dopo il primo figlio, e con il secondo si alza ancora di più il numero. La seconda ragione è che in Italia – soprattutto per carriere direttive – è tuttora vincente il modello “maschile” cioè disponibilità con orari prolungati che mal si conciliano con la famiglia. Nonostante da anni si parli di work life balance la strada da percorrere è ancora molto lunga!

Qualcosa si sta muovendo?

Fortunatamente cominciano ad evidenziarsi esperienze di aziende che propongono, oltre ai tradizionali sistemi incentivanti, interventi a sostegno della famiglia come il pagamento delle rette degli asili o addirittura gli asili aziendali e questo fa ben sperare. Per quanto riguarda la situazione milanese, e più in generale lombarda, credo che il sistema di welfare genericamente inteso sia più evoluto e che quindi, di conseguenza, anche la possibilità di organizzare e conciliare lavoro e famiglia sia più favorito; del resto è anche noto che la maggior parte delle donne che non lavora è nel Sud Italia

Secondo un'indagine della Camera di Commercio di Monza e Brianza, l'83,7% degli imprenditori lombardi pensa che la conciliazione tra lavoro e famiglia, per la donna, abbia ricadute sulla produttività. E' davvero così?

E’ ormai indubbio che le donne dimostrino capacità di migliori successi già dall’ esperienza scolastica ed universitaria: ci sono più laureate (e in minor tempo) con voti migliori. La tenacia innata nelle donne si riflette automaticamente molto spesso nella realtà lavorativa; la situazione di essere lavoratrici e “coordinatrici” di una famiglia migliora la propensione a vivere la complessità, il pensiero sistemico, l’efficienza e la rapidità decisionali. Tutto ciò non può che favorire la produttività dell’impresa

Lei, in quanto donna e in quanto top manager, intende in futuro attuare (o ha già attuato) procedure aziendali che facilitino la conciliazione tra lavoro e famiglia per le donne?

La realtà del nostro Gruppo è quella di avere circa il 65% dell’organico (1750 persone circa) composto da donne con un’età media di 35 anni. Questo ci ha spinto da tempo ad attuare politiche di attenzione nei confronti soprattutto delle mamme che si sostanziano in: concessione automatica del part time su richiesta al rientro dalla maternità, studio e, se possibile, avvicinamento a casa (abbiamo numerosissime sedi), orari particolari per chi lavora nella sede centrale (attuiamo tutti i tipi di part time), percorsi di carriera che non si interrompono per la maternità

In questi giorni si riparla di "quote rosa" nei consigli d'amministrazione delle imprese italiane. Sarà "obbligatorio", probabilmente, il 30% rosa dei CdA a partire dal 2015. Qual è il suo parere in proposito?

Le quote rosa di per sé non mi sembrano rispettose per le donne, però potrebbero essere un passaggio utile per facilitare la maturazione culturale degli ambienti aziendali, con l’obbiettivo poi di vedere donne nei Consigli di Amministrazione senza obblighi di legge

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