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Economia Duomo / Piazza Armando Diaz

Abbiamo mangiato da Jollibee: 2 ore di coda per spaghetti con wurstel e hamburger all'ananas

E' un'enclave di Manila in pieno centro a Milano; sorrisi, sapori all'opposto, jingle martellanti e asfissianti. Arrivano pullman da Parigi perchè è l'unico ristorante in Europa. Cronaca di una pausa pranzo nel McDonald's filippino

Spaghetti al ketchup di banana con würstel e formaggio. Poi hamburger con ananas. O torte di tonno. Questa è Jollibee, catena di fast food che è sbarcata in Europa il 18 marzo con il suo primo ristorante: in piazza Diaz a Milano, a due passi (letteralmente) da Piazza Duomo. La prossima apertura sarà in Uk, ma per ora teniamoci questo invidiato e invidiabile primato. 

Jollibee a Milano (foto Mt)

L'abbiamo provato. Indomiti con intrepido spirito culinario, per una volta le schiscette sono rimaste in redazione. Armati di pazienza - tanta, tanta pazienza -, ci siamo avventurati in questa enclave filippina all'ombra della Madonnina. 

Wikipedia alla mano, ci diamo un'infarinata di informazioni prima di entrare. La catena è nata nel 1975 a Quezon City (Filippine) quando Tony Tan Caktiong e la sua famiglia aprirono una gelateria in franchising Magnolia nel quartiere di Cubao. Nei mesi successivi iniziarono a servire sandwich che scoprirono essere più popolari del gelato, quindi nel 1978 decisero di convertire le gelaterie da loro gestite in fast food. La compagnia che gestisce i punti vendita fu fondata nel 1978. Oggi la multinazionale ha numeri da capogiro: gestisce 3.253 fast food al mondo, di cui 1.145 con l’insegna Jollibee. Il fatturato 2016 è di 1,9 miliardi di euro di ricavi con un utile di 101 milioni netti. Insomma, un colosso. Che a Manila e dintorni spopola.

 Coda, jingle martellante: l'esperienza Jollibee

Innanzitutto, attualmente mangiare da Jollibee è un privilegio. Un privilegio che si guadagna presentandosi davanti al negozio alle 8 di mattina, per prendere un tagliando che dà diritto a una "slot", una finestra temporale per il pranzo o la cena. Chi non ce l'ha può tranquillamente fare retromarcia. Non entra. Giovedì 22 marzo intorno alle 13 non ce ne erano più: chi voleva pranzare nel fast food dell'ape era stato costretto a ritornare il giorno dopo. E i ticket, ci hanno detto dalla security, resteranno in vigore fino a quando il flusso abnorme di clienti non si normalizzerà, forse tra un mese.

Il ristorante, infatti, è letteralmente preso d'assalto: domenica 18 marzo la coda aveva raggiunto quasi un chilometro. E nei giorni scorsi sono addirittura arrivati pullman da diverse da altre città italiane, ma anche dall'estero come Parigi e Barcellona per degustare le prelibatezze di Jollibee. Il point milanese è l'unico in tutto il Vecchio Continente. A bordo quasi solamente uomini, donne e bambini e ragazzi di origini filippine. Ovvero la quasi totalità della clientela. 

Col nostro diligente tagliando, così, ci siamo messi in fila. Quasi un'ora e mezza di coda per arrivare a ordinare. Prima una fila esterna, poi un'altra nella prima sala, un'altra ancora nella sala intermedia e infine una quarta davanti alla cassa. L'Iliade è a confronto una passeggiata. Il traffico viene diretto dagli addetti alla security, in modo composto e ordinato. Si evitano affollamenti. Ma è snervante all'inverosimile. 

Appena entrati veniamo inondati da colori e sorrisi di plastica. Tutto è bello, gioioso e allegro. Ai muri, famiglie felici che si godono la vita mangiando da Jollibee. Un calderone mellifluo che potrebbe essere un McDonald's, un Burger King, un qualsiasi fast food americano; è un nuovo così già visto che potremmo esserci già stati mille volte. Una cosa ci ha colpito, anzi, ci ha tramortito: il jingle della catena trasmesso in loop. Si sente solo quello: pedante, continuo, asfissiante. Mai una canzone pop, mai un pezzo parlato. Solo il martellante e maledettissimo motivetto promozionale che continua incessante per ore e ore. All'uscita ovviamente lo odiavamo a morte.

Apre Jollibee a Milano: che folla all'inaugurazione

Spaghetti al ketchup e ananas sull'hamburger

Finalmente arriviamo alla cassa per ordinare. Siamo già esausti e nessuno ha più fame. Ci facciamo forza. Il personale è gentilissimo, cortese, disposto a farsi in quattro. Parla un italiano molto stentato, meglio esprimersi in inglese. Stravolge 3/4 dei menù prescelti, ma fa nulla. Altra mezz'ora di attesa, perchè le ordinazioni arrivano grazie all'ennesimo bigliettino. Stravolti, ci sediamo. Si mangia. 

Chi scrive prova il chickenburger. Arriva gelido, il che sicuramente abbassa il punteggio. Ma è buono. O meglio, indistinguibile dalla massa di chickenburger provabili in Italia, in qualsiasi catena: quindi nè un male nè un bene. Pane gustoso, 'cotoletta' croccante al punto giusto. Così è il gusto del classico cestino di pollo fritto, il mitologico ChickenJoy, cosce insaporite con un mix di spezie tipiche filippine. Di fianco a noi, una coppia si divora un altro bucket avicolo. Ci sorridono, come tutti qui. Le patatine fritte sono classicissime: taglio sottile, salate correttamente. 

Passiamo a qualcosa di più impegnativo. A turno, facciamo un giro sugli spaghetti con würstel, formaggio e ketchup. Wow. E' difficile deglutire la melassa zuccherata. Gettiamo la maschera degli avventori italici, cerchiamo di immedesimarci negli autoctoni. E' durissima. Quegli spaghetti non si ispirano alla cucina del Belpaese. E' pacifico. Il critico gastronomico dell'Inquirer Clinton Palanca ha spiegato a Quartzy che il piatto forte di Jollibee è più vicino alla cucina cinese che a quella italiana. Insomma: più simili ai noodles all'uovo preparati dalle nonne fujianesi che agli spaghetti al pomodoro italiani. Il gusto poi è tipicamente dolciastro e secondo il giornalista è stato ideato pensando alle papille delle popolazioni del Sud-Est asiatico che "in generale usano lo zucchero nei loro piatti salati".

Li abbiamo reputati immangabili? Sì. Non ci sono piaciuti perchè non sono rivolti a palati italiani, ma a quelli di un Paese con cultura gastronomica lontana anni luce dalla nostra? Sì, ancora. Non c'è un giusto o sbagliato. Semplicemente, non sono compatibili con le nostre scelte. Non c'è intermediazione. La nostra incursione prosegue con l'Aloha Burger, carne più ananas. Un'adolescente in fila con noi - origini filippine ma nazionalità italiana, terza generazione, nata e cresciuta a Milano - ci spiega che nella terra dei suoi genitori l'Aloha è un must. Gran parte della gente fa la fila per quello. Ancora, non lo capiamo. Servito freddo, dolcissimo, carne stracotta, l'ananas si appiccica al pane in un amalgama succoso. La ragazzina lo divora. Noi un po' meno. E sorride, chiedendoci se lo apprezziamo. Cerchiamo di smarcarci con gentilezza, sviamo senza rispondere, ringraziamo, "dobbiamo tornare in redazione". L'altra pietanza scelta, hamburger con funghi, riusciamo a malapena a sfiorarla. Niente pane, ma ad accompagnarlo c'è una specie di pallina bianca da tennis: la apriamo e scopriamo che è un bolo di riso. Sembra cartone. Davvero. Non indaghiamo oltre.  

Usciamo. Un'ape gigante di plastica, mascotte del locale, viene assaltata per i selfie. L'aria fresca di piazza Diaz riempie i polmoni. Una decina di asiatici chiede all'addetto se sono rimasti biglietti per la cena. La coda si allunga ancora, imperterrita, senza soluzione di continuità. Tutto esaurito, sold-out. Sarà così il giorno dopo, il week-end, il giorno ancora dopo. Ci voltiamo e guardiamo ancora il locale. Ancora sorrisi, una bimba in fila ci saluta. In testa il feroce jingle, passerà del tempo prima di liberarcene. Nessuno di noi metterà mai più piede da Jollibee. Ma quest'angolo di Manila a Milano sembra rendere felice tante persone. E allora Masiyahan sa iyong pagkain a tutti. Nella città multicultural-culinaria c'è, e deve esserci, spazio anche per l'apetta di Jollibee.

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