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Venerdì, 19 Aprile 2024
Economia

Il vulcanico Vichi (Mivar) ci riprova: "Signor Samsung, venga a fare i suoi televisori a Milano: fabbrica gratis"

Il patron Vichi vuole lasciare la sua eredità al territorio

"Signori imprenditori asiatici, siete gli unici costruttori della componentistica elettronica. Venite a rendervi conto dei vantaggi che potreste avere assemblando in Italia 3 milioni all'anno dei vostri televisori, la Mivar vi concederebbe l'uso gratuito di un complesso industriale unico al mondo in provincia di Milano, come pure il supporto necessario a una vostra presenza in Italia. Il governo stesso darà il benvenuto a una industria costruttrice di televisori. Signor presidente della Samsung, mandi un suo incaricato a verificare personalmente come stanno le cose, non le costerà nulla".

L'appello pubblicato da qualche tempo sul suo sito internet, forse naif, forse folle, ma comunque denso di amore per la fabbrica di una vita, è di Carlo Vichi, 94enne vulcanico patron della Mivar (Milano vichi apparecchi radio), fabbrica di televisori milanesi che da anni ha chiuso, di fatto, i battenti. Un'azienda un tempo florida, da 200 miliardi di lire di fatturato, quasi 800 dipendenti, che entrava letteralmente nelle case degli italiani. Stritolata, però, dai cambiamenti della tecnologia.

Ci sono due siti produttivi: la sede storica in via Dante ancora oggi attiva per l’attività di manutenzione, e il "nuovo" e avveniristico stabilimento lungo il Naviglio di Bereguardo, realizzato tra il 1990 e il 2000. Che nella realtà non è mai entrato a pieno regime e nessuna idea si è mai concretizzata per il suo pieno utilizzo. Ma che potrebbe essere la nuova casa di qualche colosso asiatico intenzionato a riavviare qui la produzione. "Ci conto che la Samsung possa arrivare qui", dice ancora Vichi. 

Per l'azienda fondata nel 1945 fatale è stato il passaggio dal tubo catodico ai display lcd e poi led. La Mivar in realtà non "produceva" più da anni, si limitava ad assemblare la componentistica che proviene da altri Paesi. Eppure il tentativo di restare al passo c'era stato: ultimamente venivano assemblati apparecchi "smart", con sistema operativo Android. Ma nulla da fare, troppo bassi i volumi di vendita per sostenere una produzione. Così Vichi decise: dopo l'esaurimento delle scorte della componentistica, non ne sarebbero state ordinate altre.

Tanto per dare un'idea: nel 2013 erano state assemblate alcune centinaia di televisioni. Nel 1998, dallo stabilimento ne uscirono 917mila. Una differenza abissale.

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