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La situazione post-Covid potrebbe essere l’occasione giusta per ripensare la scuola?

Il commento

In questi mesi è emerso un certo affanno per stabilire quali potranno essere le nuove forme del vivere, abitare, lavorare, divertirsi nella dimensione collettiva. I giornali sono ricolmi di articoli emozionali, sulla scuola ma poco o nulla si è detto per quando riguarda il futuro dei luoghi dell’educazione, forse proprio perché l’erogatore principale dell’investimento è la pubblica amministrazione, nonostante la presenza di scuole e università private in Italia e nel mondo non sia trascurabile. In questo momento “l’acutissima” visione post-Covid, in ordine alla sicurezza e in considerazione di questa riapertura settembrina, è quella di ingressi scaglionati e doppi turni. Ovvero: una non-visione. Il luogo della scuola è fatto di dentro e fuori, è l’edificio e il quartiere, il percorso da casa, la condivisione, i momenti ludici, è consapevolezza urbana. I luoghi dell’educazione dovrebbero essere prima di tutto luoghi aperti e permeabili, generosi. In termini progettuali, l’idea è quella di immaginare luoghi senza perimetro, di portare il paesaggio dentro l’edificio ma anche di disegnare volumi che consentano il processo inverso e dunque che la scuola sia paesaggio.

L’effetto rinascimentale, del post-Covid contiene in sé la potenzialità di ribaltare le logiche dell’architettura scolastica, abbandonando la costruzione dell’edificio e lasciando posto a isole aperte, passanti, in grado di accogliere l’evoluzione della didattica, di favorire le relazioni tra chi insegna e chi impara, al proposito mi sembra necessario citare Peter Sloterijk nel libro Spheres III: “La costruzione di isole è l’inverso dell’habitat non si tratta più di collocare un edificio dentro l’ambiente, ma di installare, creare, realizzare un ambiente nell’edificio”. E’ necessario ricomporre la relazione tra i modi dell’apprendere e dell’educare e la definizione formale del contesto. Caso emblematico di riferimento : ASILO INFANTILE ANTONIO SANT'ELIA-1937- GIUSEPPE TERRAGNI, COMO. Negli edifici di nuova progettazione questi criteri progettuali vengono già applicati, il problema è rappresentato dal patrimonio di edilizia scolastica esistente, edifici dagli anni cinquanta agli anni ottanta ed edilizia storica vincolata. Diamo una dimensione numerica: secondo il Miur, sono più di 40mila le sedi scolastiche statali alle quali si aggiungono circa 12mila paritarie censiti al 2019. La distribuzione geografica conta quasi 14mila edifici scolastici nel nord ovest e più di 9mila nel nord est, più di 16mila al sud, più di 10mila nell’Italia centrale e quasi 8mila nelle isole. La maggior parte delle scuole si trova nei centri urbani ad alta densità di utenza ed è legata a schemi progettuali che erano la risposta a modelli didattici ed educativi del tempo. Sulle 40mila scuole statali, il 4 per cento è stata costruita tra il 1700 e il 1800, il 4 per cento tra il 1900 e il 1920, l’8 per cento tra il 1921 e il 1945, dunque il 16 per cento di edifici risale a prima della seconda guerra; il 12 per cento tra il 1940 e il 1960 e il 27 per cento dal 1960 al 1975 (diciamo che poco meno del 40 per cento degli edifici scolastici è stato pensato prima del rivoluzione studentesca), solo il 32 per cento delle scuole è stato costruito dal 1976 in avanti.

Gli edifici non sono mai stati ripensati, al massimo adeguati sotto il profilo della sicurezza (solo l’8 per cento degli edifici è progettato secondo la normativa antisismica e il 54 per cento si trova in zone a rischio sismico). Inoltre la scorsa primavera nei mesi della chiusura delle scuole, a tanti, soprattutto ai minori, sono mancate non solo il tempo e lo spazio della socialità, dell’educazione, dell’apprendimento, “ma anche la possibilità di essere sottratti, anche se per un tempo limitato, all’abbandono educativo, al disagio familiare, fino alle carenze nutrizionali a cui li ha destinati la geografia della loro nascita”. Per questi soggetti, la chiusura delle scuole e le difficoltà di accesso alla didattica a distanza ha comportato un aumento dei casi di esclusione sociale e di discriminazione; per questo il progetto della scuola post Coronavirus dovrebbe svilupparsi su tre punti essenziali: a) un edificio fatto da più parti che potremmo chiamare cellule (non un edificio unico) con diverse funzioni; b) intorno ad esso i servizi (piste ciclabili, spazi dedicati se ci sono parchi pubblici di prossimità); c) il verde, con diverse funzioni di rapporto con la città e i diversi momenti della giornata e della ampia e articolata comunità che si muove intorno alla scuola, la vive, l’attraversa, la supporta, la gestisce, la sogna. Se pensiamo la nuova scuola potremmo assimilarla a un essere vivente che prende vita da: spazi di relazione, grandi corti e luoghi aperti per la didattica e per lo svago (non solo rappresentato dalla ricreazione). Ripensare gli spazi o pensare scuole nuove non significa fare edifici con grandi giardini, ma creare relazione tra l’interno e l’esterno la scuola e il quartiere, attraverso posizioni e percorsi protetti che consentano un’interazione tra gli studenti e i luoghi limitrofi.

*Architetto e professore universitario di Nanotecnologie e sistemi evoluti dell’architettura a Parma. Per l’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha progettato la Facoltà di Giurisprudenza e la Facoltà Scienza della Formazione

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