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Gira in Jaguar e va al casinò, ma non paga i dipendenti: 3 anni di reclusione

L'uomo è stato condannato "per truffa aggravata". A chi gli chiedeva conto dei soldi, rispondeva: "Bisogna affrontare la vita così; poi sistemo tutto io"

Per due anni non ha pagato gli stipendi ai dipendenti della sua ditta di pulizie, né versato i loro contributi. E nel frattempo girava in Jaguar, giocava d'azzardo e ristrutturava l'ufficio con impianti ultra moderni, rispondendo a chi protestava: "Bisogna affrontare la vita così. Non vi preoccupate, sistemo tutto io".

Ebbene Claudio G., imprenditore milanese di 42 anni, ora deve affrontare una condanna a 3 anni di reclusione per truffa aggravata. La sentenza è stata emessa dal giudice della quinta sezione penale Annamaria Gatto, che ha disposto per quattro dei dipendenti che si sono costituiti parte civile risarcimenti per 30mila euro ciascuno.

Con il 42enne è stato condannato a un anno di carcere con la condizionale il padre Adriano, 74 anni, accusato di due reati di tipo previdenziale (previsti dalle leggi 638 del 1983 e 689 del 1981), perché il figlio gli aveva intestato una delle ditte e dunque sarebbe spettato a lui versare i contributi dei dipendenti all'Inps e invece ha omesso addirittura di presentare la relativa denuncia obbligatoria.

Analoghe contestazioni sono state patteggiate in passato dalla suocera e dalla moglie e quest'ultima, che nel frattempo si è separata, ha poi testimoniato contro l'imprenditore. Nel processo Claudio G. si è difeso, sostenendo: "Io ero un dipendente, non mi hanno nemmeno pagato i contributi. Anzi, mia suocera mi ha licenziato con un fax".

Ma secondo la sentenza, che lo ha riconosciuto colpevole come richiesto dall'avvocato di parte civile Roberto Falessi, è stato lui tra il marzo 2007 e il novembre 2009 a truffare una trentina di dipendenti per non meno di 50mila euro, consegnando loro fare ricevute di bonifico attestanti l'avvenuto pagamento degli stipendi, poi affermando di non ricevere pagamenti da parte degli amministratori di condominio per i quali lavorava la sua società a Milano e in tutto l'hinterland e arrivando a dichiarare di essere in difficoltà economica, inventandosi che la moglie aveva un tumore al cervello.

La truffa è ritenuta aggravata dall'aver causato un danno di rilevante entità, e con abuso di prestazione d'opera. "L'istruttoria dibattimentale ha consentito di far emergere un quadro molto chiaro dell'attività illecita posta in essere dal G. quale amministratore occulto delle svariate società intestate di volta in volta a parenti come le scatole cinesi - ha spiegato Falessi nella propria discussione prima della sentenza -: quando una società iniziava ad avere debiti veniva abbandonata e se ne apriva un'altra (con un nuovo intestatario ma sempre con dietro il G. a manovrare). Lo scopo era chiaramente ottenere alti profitti per condurre una vita agiata e dispendiosa. 

Ne hanno pagato le conseguenze i dipendenti della società che si sono trovati, dopo un primo tempo in cui erano pagati, a lavorare gratis con figli da mantenere e mutui o affitti da pagare (fonte: omnimilano).

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