"Monologhi poetici", laboratorio espressivo teatrale: a Milano venerdì 8 maggio
Monologhi Poetici - Laboratorio Espressivo Teatrale
Condotto da Marco Oliva (allievo di John Strasberg) e Gaia Barbieri
Venerdì 08 maggio dalle 20:00 alle 23:00 e Sabato 09 maggio dalle 14:00 alle 19:00.
Costo: 50,00 euro
Per maggiori informazioni scrivere a info@oltreunpo.it
IL LABORATORIO ESPRESSIVO TRA PAROLE POETICHE E VOCE TEATRALE.
In questo gioco tra due arti, ci troveremo a dare vita ad un personaggio, a scrivere le sue parole, ma ogni apparente allontanamento, ogni trasformazione della nostra realtà più immediata in un'altra sarà necessaria per trovare l'accordo più vicino al nostro cuore.
Che cosa ho bisogno di raccontare?
Una cosa che ho fatto, che ho scoperto, un mio sogno, un mio tentativo, un mio fallimento,
un segreto.
Una ferita o uno slancio vitale.
Il bisogno di raccontare implica la necessità di dare respiro, carne e sangue alle proprie idee, alle proprie intuizioni, all'immaginario da cui si è abitati o che si vorrebbe abitare.
Le parole cambiano il mondo? Sì, a volte sì.
Quando si racconta davvero, quando si racconta il "vero", quando si compie il difficile movimento che va dal raggomitolarsi intorno al proprio cuore all'allargare le braccia, in un generoso includere. Le parole cambiano il mondo quando si curano che chi le ascolta le possa com-prendere, più che capire, in modo che possa farsi a sua volta parlante, e cambiatore di mondi. Le parole sono azioni.
E noi passiamo la nostra vita a "parlare", a "comunicare" , a "condividere", a darci torto o ragione. Ma è ben angusto, lo spazio-tempo di un tweet. Ed è ben vago, su Facebook, "condividere" con tutti. Rischia di essere uguale a dividere, ognuno per conto suo, a convivere con nessuno.
Non ho intenzione di farmi ridurre ad un essere cinguettante. Io voglio dire.
A teatro, si dice. A teatro, il dire è condivisione e convivenza.
Come in poesia.
A teatro e in poesia, la parola viene aperta, mostrata, messa a disposizione di chi vuole ascoltarla. A teatro e in poesia, la parola prende vita: ogni termine ha valore, ha un peso insostituibile, perché cade in uno spazio (fisico ed emotivo) che reagisce immediatamente a quanto si dice. Non esiste il dire tanto per dire, in queste arti. La parola umana si manifesta pienamente come atto, incide la realtà, fa cambiare il corso degli eventi, trasforma chi la pronuncia e chi la riceve. A teatro e in poesia, il detto e il non-detto si completano e si potenziano a vicenda, l'uno risuona nell'altro, i silenzi e gli a-capo non sono pause, né spazi vuoti. Non esistono parole vuote. Il dire è un posto accogliente, una proposta di trasformazione dell'esistente.
Ecco perché oscilleremo tra teatro e poesia, partendo da una domanda - LA domanda, forse, quando si tratta di necessità espressiva: cos'ho bisogno di raccontare ad ogni costo? Qual è il punto, qual è la questione di vita o di morte? Quali sono le parole che cambierebbero tutto?
Ci prenderemo due giorni per scoprirlo. Andremo alla ricerca della nostra necessità espressiva e le daremo parole, e le daremo voce. Questa parole saranno "poetiche", e questa voce "teatrale", ma non in senso tecnico, o formale. Parole poetiche perché liberate, svincolate dall'analisi e dalla logica, scombinate, disarticolate, vicine al flusso di pensieri ed emozioni che ci costituisce come esseri umani, che di continuo ci forma e ci trasforma. Voce teatrale perché aperta all'ascolto, disponibile a lasciare una traccia e cogliere suggestioni, ad accogliere in sé le impronte di altre voci.
In questo gioco tra due arti, ci troveremo a dare vita ad un personaggio, a scrivere le sue parole, ma ogni apparente allontanamento, ogni trasformazione della nostra realtà più immediata in un'altra sarà necessaria per trovare l'accordo più vicino al nostro cuore.
Il laboratorio in pratica
Saranno i benvenuti attori, studenti attori desiderosi di sperimentarsi, appassionati o incuriositi dalla parola poetica. Tutti avranno la possibilità di scoprire qualcosa di nuovo sul cuore del proprio bisogno espressivo, sulle sue possibilità e sui suoi limiti, ognuno al proprio particolare livello di esperienza e consapevolezza.
Il Laboratorio Espressivo avrà una durata complessiva di 8 ore in due giornate e sarà articolato in diverse fasi di lavoro, alcune più orientate alla scrittura poetica, altre all'espressione teatrale. In nessuna di queste fasi intenderemo la scrittura poetica come composizione in versi o in rima, o come testo regolato da precise regole formali, né concepiremo l'espressione teatrale come spettacolo in vista di un pubblico da soddisfare. Entrambe queste arti saranno per noi territori di esplorazione pratica, centrata sul nostro particolare, irripetibile bisogno espressivo. Il Laboratorio avrà una doppia conduzione: Gaia Barbieri ci accompagnerà nei momenti di "tessitura" del testo, mentre Marco Oliva ci guiderà nelle fasi di "messa in scena". Ogni quadro di lavoro sarà finalizzato a suggestionarci, ad aprirci le vie, a dischiudere per noi le porte di stanze che già sono nostre, ma che ci siamo concessi poco di abitare.
Partiremo dalla ricerca di un'aderenza alla nostra verità, e in particolare al nostro personale bisogno di raccontare, andremo a scovare le nostre intuizioni più urgenti, corporee, quelle che più desideriamo agire. Forse ci troveremo a partire da un silenzio, da una domanda senza risposta, da una mancanza di parole... Ci scopriremo in difficoltà e sprovvisti di strumenti appropriati. Il bisogno di raccontare non parte mai da pensieri chiare e distinti. Da un magma, piuttosto.
Poi, lasceremo che questa vibrante esigenza espressiva ci trasformi. Ci saranno, in punti diversi dello spazio, dei costumi. Tanti oggetti. Oggetti quotidiani, come tazze, pettini, orologi, sigarette, ma anche penne, matite, fogli, pennelli... Tanto materiale, tanto nutrimento per l'immaginazione e l'espressione. Potremo cercare liberamente, intuitivamente, i nostri "panni", tra quelli possibili. Non pensando razionalmente ad un personaggio, ma in base alla nostra necessità di dire. Cambieremo il nostro corpo, il nostro modo di muoverci, il nostro ritmo, cambieremo sesso, se servirà, cambieremo le parole più meccaniche con altre, i mezzi espressivi più abituali con altri, in base ad un'esigenza, quella di metterci nel punto di vista e di parola più vicino al cuore di ciò che desideriamo raccontare. Trasformarsi per liberarsi, per aprirsi possibilità in genere escluse dalla propria realtà biologica e biografica. Il "personaggio" andrà inteso come un punto di vista - un punto di vita - più vasto del nostro, un raggrumarsi delle parole in un corpo.
Perciò, lasceremo spazio alla voce - alla parola, al canto - di questa "persona", ci vestiremo dei suoi costumi e le permetteremo di dire liberamente la sua verità.
Sarà fondamentale, in questa fase, il lavoro di immaginazione, tramite il quale scopriremo il contesto, la realtà del personaggio. I dettagli di preciseranno: ci sarà qualcosa di specifico da dire a qualcuno di specifico in un modo specifico per un motivo specifico. Faremo esperienza, realmente, di un bisogno di raccontare che diventerà questione di vita o di morte.
In questo contesto, la scrittura non sarà esercizio astratto, ma, più che mai, gesto "pratico": scrivo quello che voglio dire, le parole che nascono intuitivamente, nel modo più immediato. Come un flusso di coscienza, come se potessi incidere il foglio direttamente con i miei pensieri, le mie sensazioni, i miei movimenti profondi. Penso ad alta voce, sento ad alta voce, e con la penna in mano. Scrivo per non dimenticare, scrivo perché non posso permettermi per nessun motivo di perdere il cuore di quel che ho necessità di dire.
Ci sarà, nello spazio, un supporto sul quale sarà possibile "appendere" le nostre parole, scambiarle con quelle degli altri, o con quelle già scritte dai poeti. Cosa succede a quello che ho scritto se lo mescolo con qualche pensiero altrui? Cosa mi succede se tratto il pensiero altrui esattamente come se fosse mio, se me ne impossesso pienamente? A volte (spesso) le parole più intimamente nostre, più incredibilmente vicine a quello che ci si muove dietro agli occhi, ci cadono addosso da fuori. Il pensiero può rendersi un patrimonio pubblico, l'intimo non è privato, o meglio, non è da privare.
Per scrivere il nostro testo - che, più che un "monologo", è un promemoria, l'impronta fisica di una danza con la nostra necessità di dire più profonda - avremo bisogno di fare delle esperienze. Si apriranno quindi quadri di lavoro sul "personaggio" e sulla scrittura, poesia e teatro si confonderanno, risuoneranno l'una nel territorio dell'altro.
Alla conclusione di ogni quadro di lavoro sul personaggio, senza censure, e con il minimo possibile di mediazione, annoteremo quello che avremo trovato, quello che avremo vissuto - questioni, punti ancora aperti, dubbi, dettagli.
Metteremo a confronto questo materiale con il nostro "testo", e in questo modo lo modificheremo, lo arricchiremo. Nel corso del successivo quadro di lavoro dedicato alla scrittura del testo, tutta l'esperienza raccolta nei quadri "collaterali" si riverserà nella nostra composizione. Ogni parola rimanderà ad una realtà più densa, fitta di echi e corrispondenze.
In una fase conclusiva del lavoro, ogni partecipante avrà la possibilità di dire quello che ha scritto al destinatario delle sue parole. Ognuno farà esperienza diretta di questo "raccontare" che non potrà più essere rimandato. Le parole avranno bisogno di gesti, di spazio, di materia. Le parole cambieranno le cose, nello atto del convivere "monologhi poetici".
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