Un parco divertimenti 'hightech': la mostra di Beloufa all'Hangar Bicocca
Si chiama Digital Mourning ed è la prima grande personale dedicata a Neïl Beloufa in un’istituzione italiana. La mostra, all'Hangar Bicocca dal 17 febbraio al 18 luglio, è una riflessione sul panorama attuale e sul concetto di vita nel mondo digitale.
Fin dal titolo, l'esposizione allude a uno dei paradossi più evidenti della società contemporanea, l’idea di esistenza in un mondo tecnologico e la sua scomparsa. L’associazione dei due termini “digital” (digitale) e “mourning” (lutto) si risolve nell’incontro tra assenza di vita e contesto artificiale, una dimensione dove la vita stessa viene simulata attraverso modelli appositamente costruiti per comprenderne l’essenza.
Presentando un’ampia selezione di lavori, la mostra si configura come una nuova complessa installazione multimediale che emula lo scenario di un “parco dei divertimenti” in cui le opere prendono vita in risposta a una serie di figure narranti. Nel guidare lo spettatore questi “Host”, contraddistinti da simboli e colori differenti, si contendono la sua attenzione proponendo un’esperienza diversa del percorso espositivo.
L'artista
Neïl Beloufa, franco-algerino nato nel 1985 a Parigi, dove tuttora vive e lavora, è tra gli artisti più brillanti della generazione degli anni ottanta. La sua ricerca si focalizza sulla società contemporanea e sul modo in cui viene rappresentata e mediata dall’interazione digitale, spesso con l’obiettivo di metterne a nudo i meccanismi di controllo. Attraverso video, lungometraggi, sculture e installazioni tecnologicamente complesse, Beloufa gioca con l’esperienza sensoriale dello spettatore invitandolo a confrontarsi con le proprie convinzioni e stereotipi su tematiche del presente che spaziano dalle relazioni di potere alla sorveglianza digitale, dal data collection alle ideologie nazionalistiche, dall’identità alla lettura post-coloniale del mondo.
Il lavoro dell'artista, fortemente influenzato dalla dimensione del web, dei videogame, della reality tv e della propaganda politica, utilizza il vocabolario dell’era dell’informazione per svelare il sistema di valori di una società pervasa dalla tecnologia digitale dove tutto, dalle scelte alimentari alle relazioni umane, è definito in base a un algoritmo. In questo processo l’artista si definisce un editor, un montatore che assembla informazioni attingendo a ciò che già esiste per poi scomporlo e ri-presentarlo senza alcun giudizio di natura morale.
Il pubblico si trova così all’interno di installazioni immersive che restituiscono una visione frammentata del reale, un universo popolato di pop-up e sistemi di telecamere a circuito chiuso Cctv studiati per rappresentare sia la libertà di un’organizzazione apparentemente casuale che la dimensione di controllo che vi si cela.