"Il Bosco" di David Mamet
Nel corso di un tramonto, di una notte e di una mattina Il bosco di David Mamet tratteggia una storia d’amore fatta di desideri e paure, e sviluppa un rapporto fatto di apparenti banalità, ma soprattutto poetici misteri costruiti con introspezioni, silenzi, omissioni. Lo spettacolo parla di quanto i sogni facciano paura quando si avvicinano.
Gli elementi della trama, come in ogni fiaba, sono semplici: un bosco, una casa nel bosco, un lago, un uomo e una donna che decidono di passare un fine settimana fuori città, nella casa di lui. Il bosco è il palcoscenico immaginario in cui Ruth (Elena Arvigo) e Nick (Antonio Zavatteri) proiettano i loro desideri e le loro paure.
Ogni cosa perde la sua quotidianità e si amplifica. L’ordinario lascia spazio alla fiaba per dare vita ad una rappresentazione, ad una mimesi del reale. In questo tempo e in questo luogo “lontano dalla citta” si rivela l’anatomia del rapporto e si svelano i personaggi. Ruth e Nick si rivelano attraverso un linguaggio (Mamet speak) in cui le parole sono oggetti reali, tridimensionali. La storia racconta coerentemente se stessa, ma anche ‘altro’.
Questa ambivalenza non è mai ostentata, anzi, è iscritta come un codice, avvertibile, ma nascosto nella struttura poetica del linguaggio. La conversazione apparentemente banale, è trasformata dall’uso del free verse, dal ritmo, dall’associazione lirica delle parole, diviene testo poetico e ricorda nelle intenzioni, le lunghe mondane conversazioni davanti al samovar nei salotti di Checov. I discorsi prendono il posto della sostanza delle cose che questi personaggi non possono e/o non vogliono affrontare direttamente. Per vie traverse, a fatica, la verità dei personaggi affiora nonostante le loro parole, negli espedienti verbali che sfoggiano nel tentativo di trattenerla, quelle parole finiscono invece per tradire il personaggio e svelarne la verità. Citando Mamet: “It's only words...unless they're true.” La questione è: “Arriveremo a non avere paura dei sogni?“