Debutto milanese per "Giusto la fine del mondo di Jean-Luc Lagarce"
Giusto la fine del mondo
di JEAN-LUC LAGARCE una coproduzione Murmuris e Atto due
regia Simona Arrighi e Laura Croce
con Luisa Bosi, Laura Croce, Sandra Garuglieri, Roberto Gioffrè, Riccardo Naldini
allestimento Francesco Migliorini
cura delle musiche Luigi Attademo
disegno luci Roberto Cafaggini
con il sostegno dell'Istituto Francese di Firenze e Nuovi Mecenati
Giusto la fine del mondo è un testo immenso. Ordinato, simmetrico, eppure vivo, di una vitalità così dinamica da diventare voragine. E' un testo sull'amore, sulla famiglia, sulla morte, sul coraggio, sul viaggio, sulla distanza, sul silenzio, sulla potenza della parola. Attraversarlo significa arrendersi ad esso, come ci si arrende alla sofferenza e alla vita stessa. Ci si immerge, per imparare a navigarlo, sapendo che se si arriverà all'altra sponda saremo più sicuri e saldi.
C'è poco che non si possa trovare e dire in questo testo. Per questo metterlo in scena è compito impossibile e semplicissimo al contempo. Lo scritto è così chiaro e vero che si svolge da sé nei corpi degli attori, pare di non dover aggiungere altro, né forzare in alcuna direzione. Ma, allo stesso tempo, la materia è così vasta e viva, che scappa dalle mani, come sabbia, fugge. Va trattenuta, cesellata con cura, va lavorata e ci vuole la pazienza degli artigiani per vederla crescere e compiersi.Come ha potuto Lagarce riuscire a essere così limpidamente classico e così sfacciatamente innovativo nella stessa opera? Forse la morte che davvero gli era vicina gli ha dato facoltà nuove e possibilità straordinarie.
Un uomo torna a casa, dalla sua famiglia, per comunicare che presto morirà. Se ne andrà senza averlo detto, ma l'incontro con la madre, la sorella, il fratello e la cognata, sarà per tutti l'occasione per rivelarsi. Tutti, tranne Louis che invece è lì proprio per questo, diranno ciò che mai hanno avuto il coraggio neppure di sussurrare. Così tra ricordi sbiaditi, speranze deluse e dinamiche impietose, entriamo nella verità di questa famiglia, che è la nostra famiglia che è tutte le famiglie. Luogo di sicurezza, ma anche di rancori, di rimpianti, di aspettative, di gelosie. Qui c'è tutto e il contrario di tutto. Giusto la fine del mondo non è un testo, è un luogo dove accade ogni cosa. Un oceano infinito di parole che i protagonisti, con echi beckettiani, ma con una vis tragica che sconvolge, riversano l'uno sull'altro, eppure si avverte solo il silenzio e l'impossibilità di dirsi davvero qualunque verità. Louis, il protagonista, è in realtà una figura defilata, quasi assente, potrebbe non esserci, forse è già morto. Nulla accade, eppure alla fine nulla è più come prima, tutto è mutato, per sempre.
Così ci ritroviamo là, giusto alla fine del mondo, alla fine della vita, alla fine di questa menzogna. La catarsi c'è, come in ogni tragedia che si rispetti, e noi la viviamo. Ma non è alla conclusione, come vuole Aristotele, bensì durante, nelle parole violente, nella forza che i protagonisti trovano per dirsi, per rivendicare lo spazio che mai hanno avuto, per cercare di avere quell'attimo di amore e gioia che sentono negato. Alla fine invece no. Si resta come sospesi. In un oblio. Restano i passi sul selciato, la fuga. Il ritorno.