rotate-mobile
Venerdì, 19 Aprile 2024
Elezioni comunali 2021

Italexit di Paragone ci prova a Milano. "Diversi da tutti, ecco come vediamo la città"

L'intervista a Massimo Zanello, ex assessore regionale leghista, ora coordinatore del movimento di Gianluigi Paragone

Milano per i suoi cittadini, non per le multinazionali e i fondi. Milano che protegge i suoi negozi e mette in campo gli strumenti perché non chiudano. Milano con periferie da considerare il centro di una comunità che non deve sentirsi ai margini ma un pezzo di città. E un ballottaggio, tra Sala e il candidato che sarà del centrodestra, che in realtà è "di governo", mentre «il vero ballottaggio è ormai tra chi è a favore e chi è contro il governo Draghi».

Ha le idee chiare Massimo Zanello, in passato assessore regionale per la Lega Nord e ora coordinatore per la Lombardia di Italexit, il partito fondato dal giornalista Gianluigi Paragone dopo avere abbandonato il Movimento 5 Stelle, in vista delle elezioni comunali di Milano che si terranno nell'autunno del 2021. Paragone, senatore, ha già annunciato che si candiderà a sindaco della città. Contro tutti. 

Quali sono le vostre idee per Milano? In cosa siete diversi?

«Noi presentiamo, anzitutto, un progetto per la città. La candidatura di Paragone non è la versione locale di un progetto nazionale ma guarda ad una città che è forse la piazza più importante d'Italia e ha una sua vivacità e proiezione internazionale che fa sì che nulla sia semplicemente un problema locale. La nostra idea di Milano è diversa rispetto a quella delle ultime giunte di Sala e Pisapia. La "nostra" Milano non si pone come un boccone interessante per le multinazionali o i fondi che vogliono comprare palazzi, squilibrando il mercato immobiliare milanese per cui oggi quasi nessuno può comprare una casa a Milano».

Il rischio maggiore che corre la città?

«Quelllo che i milanesi vengano espulsi e si perda l'identità cittadina, che si è arricchita culturalmente con apporti dall'esterno ma, ora, rischia di diventare "colonia". Ci schieriamo contro questa tendenza. Vi sono interessi multimiliardari che approfittano della situazione della città, della crisi, e fanno sì che i milanesi non siano più in grado di viverla. Pezzi di Milano, e della sua area metropolitana, diventano estranei alla sua storia. Sala e la sinistra sono i candidati del centro storico e tutti i discorsi della sinistra assomigliano a quelli degli uomini più ricchi del mondo, da Gates a Zuckenberg. Chi si è arricchito di più durante la pandemia è il "guru" della sinistra».

Le elezioni si terranno durante una crisi sanitaria ed economica senza precedenti...

«A Milano abbiamo visto negozietti chiudere, ristoratori finiti sul lastrico, una situazione destinata ad esplodere. Le banche andranno a chiedere i soldi a tutti loro. Guarda caso, questo governo sta mettendo nel Pnrr agevolazioni per le banche per mettere all'asta il patrimonio dei loro debitori. Noi guardiamo al mondo che soffre della pandemia e che certamente non è quello a cui guarda Sala. Quando si parla di cure domiciliari, per esempio, Sala e Fontana possono rimbalzarsi le responsabilità, ma sono di entrambi e al cittadino non interessa attribuire la singola colpa. Se la sanità è regionale, anche il sindaco non era consapevole del rischio così come non lo era lo Stato, visto che il piano pandemico era chiuso in un cassetto. Intendiamoci, in altri posti come Campania o Emilia Romagna non è andato tutto benissimo».

Siete contro le restrizioni per combattere la pandemia?

«Dico solo che, in un anno e mezzo, il debito pubblico italiano è esploso: il governo ha speso centinaia di miliardi. Si parla tanto di recovery fund, ma ne abbiamo già fatto uno nel 2020: i risultati non ci sono, le imprese hanno dovuto indebitarsi. Abbiamo assistito in maniera impotente a un massacro di piccole imprese commerciali, tutti abbandonati, mentre il governo giocava coi banchi a rotelle o i monopattini. E, intanto, il Comune di Milano rendeva inagibili pezzi di città con piste ciclabili più pericolose del covid, come in corso Buenos Aires.

Siete contro i vaccini?

«Noi non siamo mai stati "no vax". Molti di noi si sono vaccinati. Riteniamo comunque che la campagna discriminatoria del governo, ad esempio tra vaccinati e non vaccinati, sia incostituzionale e contro i diritti dell'uomo. E' comprensibile che, con vaccini preparati in fretta, alcuni con tecnologie innovative, alcune persone abbiano paura. Un problema che nasce anche dall'atteggiamento degli stessi produttori: non dimentichiamoci che i contratti sono secretati, che le case farmaceutiche fanno firmare un foglio dove sta scritto che se stai male sono affari tuoi. Qualche mese fa dicevano che i vaccini ci sono, poi hanno firmato contratti promettendo "quello che potremo", cosa che nei contratti normali non sarebbe accettabile. E ci sono differenze notevoli sui prezzi tra un vaccino e l'altro. Gli stessi medici vaccinatori hanno chiesto l'immunità. Per esempio alcune persone avrebbero sviluppato trombi a causa del vaccino, io non so se è vero ma il vaccino è stato fatto in fretta e i protocolli sono stati compressi. Delle problematiche ci sono».

Che cosa ne pensate dei certificati di vaccinazione?

«Ricordo che, decenni fa, quando il datore di lavoro chiedeva a un dipendente un "certificato" di negatività all'Aids, veniva lapidato e denunciato. Oggi, se non dimostri di aver fatto un tampone o il vaccino, sembri un appestatore. Io capisco l'emergenza e i problemi ma, se l'emergenza diventa, come è già successo nella storia, un pretesto per limitare i diritti civili non va bene. L'emergenza deve portare a tutelare il diritto alla salute, al lavoro, alla casa. Dopo il Conte 1, il Conte 2 e il Draghi, rischiamo, alla fine della pandemia, che tutti questi diritti siano stati calpestati. Quindi il green pass va valutato con grande cautela: i dati sanitari delle persone non possono essere "buttati" a tutti. Magari uno non si vaccina perché affetto da altre patologie. Pubblicare la propria cartella sanitaria è la peggior violazione dei diritti che si possa fare».

Lei è stato un importante esponente della Lega Nord. Qual è il rapporto tra Italexit e il centrodestra?

«Il centrodestra si è suicidato. Abbiamo passato un anno a criticare i 5 Stelle per la loro incapacità di governo ma è palese l'incapacità del centrodestra di rappresentare un progetto politico per Milano e in particolare per la scelta dei sindaci. Le elezioni di settembre si sarebbero dovute tenere a giugno, ma non hanno ancora trovato un nome. Non è che siano troppi tra cui scegliere: non ce l'hanno. Non hanno saputo coinvolgere le persone. Questo è un fallimento personale di Matteo Salvini, entrato in consiglio comunale trent'anni fa, e della Lega, partito di maggioranza della coalizione che ha trovato un solo nome, quello di Albertini, sentendosi dire di no».

Vi schiererete per un eventuale ballottaggio tra centrodestra e centrosinistra?

«No, non ci interessa. Credo che il vero ballottaggio sia tra chi è a favore e chi è contro questo governo, tra chi è all'opposizione e chi è in maggioranza. Il laboratorio oggi di fronte è "tutti insieme nel governo" in cui Salvini e Letta discutono tra loro di stupidaggini ma i partiti non toccano palla e governa solo Draghi. Sono tutti alla corte di Draghi a raccogliere le briciole e discutere di orari di coprifuoco mentre Draghi spende, decide, governa: noi invece siamo all'opposizione di tutto questo».

Si parla tanto di periferie a Milano, quali sono le vostre idee in merito?

«In realtà per noi non esistono, nel senso che una città come Milano è tutto centro, anche via Padova è un centro: è il centro di una umanità straordinaria e di problemi immensi. Noi pensiamo a una città dove tutto fa parte di un progetto che dà risposte alle esigenze di quei cittadini: è chiaro che sono esigenze diverse. La scuola di via Spiga non ha certo gli stessi problemi, anche di integrazione, delle scuole di via Lorenteggio. Però l'esigenza di dare risposte deve essere uguale. Nel nostro programma ci sarà attenzione alle periferie considerandole il centro di una comunità che non deve sentirsi ai margini ma un pezzo di città. E a questo proposito ci sono ormai pezzi di città sottratti alla città. Penso a City Life, tra l'altro nello stesso Municipio amministrativo di Quarto Oggiaro, il che non ha senso. Parliamo di una comunità chiusa dove tutto è un cancello, una guardia giurata. Le case di Milano hanno il portone sulla strada, non il muro di cinta e la guardia giurata. Magari piuttosto hanno i portinai. A lato di tutto ciò, vi è una riflessione che sta emergendo sui sindaci in generale...».

Si parla dell'avviso di garanzia alla sindaca di Crema per il bambino che si è fatto male all'asilo?

«Esatto. I sindaci corrono rischi immensi, non hanno alcuna tutela e lavorano in condizioni disperate. Noi pensiamo piuttosto che i sindaci siano l'asse portante del Paese dal punto di vista politico. Il governo non dà loro il giusto spazio: gli investimenti sulle infrastrutture si fanno grazie ai sindaci, la parte più efficiente della politica è nei Comuni ma, oggi, sono bistrattati. Noi partiamo dal sindaco perché crediamo in una politica che nasce dal bssso, sulle strade, nelle periferie. Crediamo in una politica vera».

In Evidenza

Potrebbe interessarti

Italexit di Paragone ci prova a Milano. "Diversi da tutti, ecco come vediamo la città"

MilanoToday è in caricamento