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Alessandro Rovellini

Direttore responsabile

Il nostalgismo

Editoriale - Il contendente di Beppe Sala nel centrodestra latita. Il tempo stringe e i cosiddetti "nomi della società civile" si sfilano. Così, non resta che pescare nel serbatoio nostalgico: Albertini in pole position. Basterà?

È scientificamente provato che ci si infila nei meandri placidi e tranquilli di film o serie tv visti milioni di volte per avere un senso di pace e serenità. Una sorta di carezza visiva rassicurante. Il meccanismo del "lo conosco già quindi mi fido" affonda le radici nell'evoluzione stessa dell'uomo: siamo animali sociali consapevoli che meno si rischia sull'ignoto, meglio è. Si stava meglio quando si stava peggio, prima queste cose non succedevano, bisogna tornare ai valori di una volta. Il campionario nostalgista, soprattutto in politica, è infinito. Il centrodestra lombardo, forte di un bacino elettorale poco fluido e da coccolare, parrebbe sguazzarci anche nelle Comunali milanesi 2021.

Le quotazioni di Gabriele Albertini sfidante di Sala sembrano in decisiva salita. Il leader del Carroccio Matteo Salvini l'ha benedetto pubblicamente. Ultra 70enne, moderato e politico navigatissimo, è un "già stato": già stato sindaco, già stato parlamentare, già stato in poltrone di potere pesanti (Confindustria). Un profilo complementare e attiguo a quello di Letizia Moratti, richiamata in corsa al Pirellone per sanare la sanità allo sfacelo. Il nome della società civile più volte mitizzato nei mesi scorsi da Salvini, a oggi, non esiste. Nessuno poco avvezzo agli estremi vuole accostarsi al Capitano, suggerisce perfidamente Sala. E probabilmente un fondo di verità c'è. Lì, nell'intermedio moderato e indeciso, bisogna far breccia: molti ufficiali leghisti e di FdI sono "over" per toni, temi, virulenza verbale. Gallera si era affacciato timidamente autocandidandosi; si è eroso con le proprie mani. Lupi, un altro "già stato", si è sfilato da solo. 

La partita milanese è fondamentale per Salvini, il vero burattinaio ombra, forte di un peso specifico superiore a tutti gli altri partiti della coalizione destrorsa. L'ultima parola è la sua. Serve una vittoria per legittimare la forza verde a Palazzo Chigi e serve, soprattutto, per obnubilare la gestione della pandemia lato Regione. Il nuovo Parisi non c'è. Il manager della Pellegrini Rasia Da Polo, corteggiato inizialmente, sembra troppo lontano nei sondaggi anche solo per impensierire Sala. Albertini è il gentleman driver pronto a mettersi il casco e a posizionarsi in griglia senza particolare allenamento. Sa già come funziona tutto. Sala è attaccabile: periferie e case popolari, gestione ciclabili, nuovo stadio, cemento. I sondaggi mediamente lo danno vincente, ma con l'avversario giusto si gioca fino ai supplementari. E il finale non è scontato. Certo, una domanda sorge spontanea: dieci anni di centrosinistra, da Pisapia in poi, hanno prodotto nei contendenti solo nostalgismo? La parentesi di Parisi non fu un azzardo: fece una campagna efficace, lottò punto a punto. Possibile che non esca il peso massimo?

Sala è scattato prima, non sta perdendo tempo. Ha già presentato la lista e costruito il programma. Ad Albertini è stata fatta la proposta, si attende il suo sì ufficiale. Non si è trovato nessuno, si va sull'usato garantito. Forse troppo poco per la Milano del 2030, proiettata alle Olimpiadi invernali e al massiccio sviluppo post Expo. O forse quel che basta, come una puntata de "La Tata" o di "Friends" delle quali conosciamo le battute a memoria, per un nostalgico ritorno al vecchio ordine. 

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