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Mercoledì, 24 Aprile 2024

Il commento

Alessandro Rovellini

Direttore responsabile

Le elezioni più noiose di sempre non potevano che finire così

Il Pd riesce nell'impresa titanica di riabilitare Fontana che, solo un anno e mezzo fa, era politicamente un morto che cammina. FdI sfonda ma non troppo, la Lega regge e Salvini mette il cappello sulla vittoria: la rinascita del governatore (bravo a rimanere a galla) è soprattutto merito suo

La campagna elettorale più noiosa della storia è finita nell'unico modo possibile: nessuno è andato a votare e al Pirellone c'è ancora Fontana. La Lega rimane al comando per inerzia, il Pd con Majorino raccoglie i cocci e la Regione sarà verdeazzurra per altri 5 anni. Letizia Moratti è poco più di una comparsa. FdI passa dal 3% del 2018 al 25%, ma non stritola Lega e Forza Italia che tutto sommato tengono anche in rapporto alle ultime Politiche. Ci mette una pezza la lista dell'ex sindaco varesotto che si alza dall’1,46% al 6%. 

Cinque riflessioni a caldo su questa tornata per mettere in fila un po' di cose.

1) Fontana ha spazzato il covid sotto al tappeto

Tra marzo e l’inizio dell’estate 2020 nessun cranio pensante avrebbe mai lontanamente immaginato la riconferma di Fontana, dopo il massacro del covid. Le bare di Bergamo le ricordiamo tutti; quello che molti si sono dimenticati, pare, è stata la gestione delle zone rosse, a tratti schizofrenica. Il governatore, ben consigliato dai vertici del Carroccio, è riuscito nel tempo a ripulirsi l’immagine. Prima ha trovato il capro espiatorio: l’onnipresente assessore al Welfare Gallera, silurato senza troppi complimenti. Si è messo Letizia Moratti come vice. Poi ha portato vicino a sé il volto rassicurante e mediamente competente di Guido Bertolaso per la gestione pandemica. Infine, è uscito prosciolto dall’inchiesta sui camici al cognato. Giorno dopo giorno, è riuscito a trasformare goffaggine, inesperienza e insicurezza in immagine di prudenza e cautela. Il video dove si infilava la mascherina sugli occhi, oggi, lo eleva ad amministratore avveduto. La sua campagna - pensata per votare il prima possibile, altra perla - è stata un piccolo capolavoro di prestidigitazione: Fontana è scomparso a ogni tentativo di confronto. Della serie: meno si dice, meglio si dice. Salvini ha messo il cappello sulla sua vittoria e ha fatto bene. Il leader leghista ha insistito sul governatore uscente, nonostante gli iniziali tentennamenti degli alleati, vedendoci giusto. Ora in giunta passerà all'incasso, anche se Fratelli d'Italia farà la voce grossa. Ci sono decine di miliardi da gestire con gli assessorati. Quasi 30 anni al Pirellone e non sentirli.

2) Il nulla di Majorino e del Pd coi 5 Stelle

Majorino non ha particolari colpe. È stato il classico candidato d'apparato, come l'ha definito Marco Ferrari. Ha imbarcato i 5 Stelle (con un mirabolante 4%) ectoplasmi in Lombardia e i Verdi decrescisti 'notutto' in un’alleanza kamikaze, allontanando tutti i moderati centristi delusi da Fontana (sì, erano tanti) e non convinti da Moratti. Ha concluso la campagna con una chicca d'ingenuità, dando degli inferiori ai calabresi. Nonostante la stilettata post voto, mai avrebbe potuto correre con Italia Viva o Azione. Non ha praticamente convinto nessuno che non fosse già un elettore Pd, ala sinistra. Ha parlato di sanità e inclusione sociale senza particolari guizzi, nonostante qualche vibrante stoccata via twitter. Nel tafazzismo dem la Lombardia si è persa nella lotta intestina delle primarie. Nessuno ci ha mai creduto davvero. Un dato su tutti: invece che aggredire queste elezioni con largo anticipo, costringendo Fontana quando era più debole al raffronto martellante su liste d'attesa, trasporti e ambiente, e allungando la campagna, paesino per paesino, il Pd ha trovato un candidato solo all'ultimo. Lo stesso, macroscopico errore del centrodestra a Milano nelle amministrative. Per darvi un'idea, i primi sondaggi, senza nemmeno sapere il volto del centrosinistra, davano Fontana vicino al 50%. MilanoToday ne pubblicò uno che si è rivelato profetico. Majorino è stato efficace per il voto degli under 35. Ha vinto a Milano città, con l’apporto di Sala. Ha fatto un pochino meglio di Gori, nel 2018. Il minimo sindacale. Ma non è bastato. 

3) Maran, che peccato. E che rammarico

Ok, fare dietrologia è facile. Però stavolta ci si sbaglia di poco. Gli avversari di Fontana hanno un unico, enorme, rammarico: Pier Maran. L'assessore milanese è un bravo amministratore, capace e competente. È uno dei pochissimi ad avere visione internazionale. È anche un politico che non scappa dalle discussioni e, dote rara, sa ascoltare con pazienza. Avrebbe potuto iniziare la campagna elettorale da lontano, facendosi conoscere anche da chi non vive a Milano. Il Pd non l’ha visto due volte: prima escludendolo dalle liste per le Politiche, poi ignorandolo al Pirellone. Lui ha deglutito ed è andato avanti mettendosi lo stesso a disposizione del partito. Era l’uomo che, con ogni probabilità, avrebbe trovato la quadra col Terzo polo. Sarebbe stata un’altra storia? Chissà, forse no. Azione, come i 5 Stelle, è stato ai margini. Le somme algebriche delle percentuali basate sul “se x si fosse alleato con y” hanno sempre poco valore. Eppure. Un’occasione di rottura vera sprecata. 

4) Letizia Moratti è stata tutto e il contrario di tutto

Letizia Moratti ha almeno cercato di animarla questa tornata elettorale. L'ex sindaco di Milano ha provato a gran voce ad avere l’appoggio del centrodestra; si è spostata in punta di piedi verso il centrosinistra; ha virato verso una parte scontenta della Lega; infine si è accasata con Renzi e Calenda. In due mesi è stata donna di destra, di centro, di sinistra, liberale, riformista, conservatrice moderata, un po’ tecnica un po’ politica, rigorista, manager e falco e colomba allo stesso tempo. È stata tutto e il contrario di tutto. Non ha pagato. Ha preso in mano l’assessorato alla Sanità nel periodo più buio mettendoci la faccia e ha, in un paradosso tutto lombardo, aiutato Fontana nella risalita. Si aspettava l'appoggio a governatrice. Non ha ceduto all’offerta di un incarico fuori Regione ha provato la corsa da sola. Non doveva, però, credere ciecamente ai sondaggi ego-commissionati che la vedevano vicino al 30%. Ora sarà fuori dal Consiglio regionale. 

5) Stessa giunta, stessi problemi

La disaffezione patologica degli elettori lombardi al voto ha dato a Fontana una sorta di credito "sulla fiducia". Il deserto degli avversari ha fatto il resto. Nel totoassessori il peso di Fratelli d’Italia si farà sentire, si diceva. Il partito della premier Meloni porta a casa da solo gli stessi numeri della Lega insieme a Forza Italia e alla lista Fontana. Che tuttavia non sono umiliati, come qualcuno temeva. Le uscite del bilancio regionale gestibili dai vari assessorati valgono 30 miliardi di euro all'anno. Una cifra enorme che permette anche di fare tanti errori. Staremo a vedere.

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