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"Clandestini" sui manifesti: la Lega condannata in Appello per discriminazione

Per i giudici, il termine "clandestino" si riferisce a un reato e non può essere utilizzato per i richiedenti asilo

La differenza tra "clandestino" da una parte e "rifugiato" o "richiedente asilo" dall'altra parte è nella lingua ma anche nei codici. Si tratta di due concetti anche giuridici ben diversi, corrispondenti a fattispecie che non s'incrociano. Né potrebbero: con il primo termine (peraltro non tecnico) si intendono coloro che sono presenti in Italia in modo irregolare, senza rispettare la legge sull'immigrazione; con i secondi, invece, coloro che sono regolarmente presenti, secondo i dettami di legge, perché hanno chiesto (oppure hanno chiesto e ottenuto) il riconoscimento dell'asilo, per ragioni politiche o umanitarie. 

Confonderli, definendo "clandestini" coloro che hanno chiesto l'asilo o l'hanno già ottenuto, significa non soltanto non essere precisi ma anche discriminare perché, di fatto, si va ad attribuire un reato a chi non lo ha affatto commesso. Dunque, se un partito politico definisce "clandestini" i "richiedenti asilo", non sta affatto manifestando il proprio pensiero in maniera libera e democratica.

Lega condannata

Sulla base di questo assunto, la Lega si è vista confermata in Appello la condanna per avere affisso a Saronno, nel mese di aprile del 2016, alcuni manifesti in cui un gruppo di 32 richiedenti asilo, in procinto di arrivare in città, veniva definito appunto "clandestini": «Saronno non vuole clandestini - si leggeva nei manifesti - vitto, alloggio e vizi pagati da noi». Per il giudice d'Appello di Milano Maria Cristina Canziani viene violata la dignità dei cittadini stranieri (regolarmente presenti, si ribadisce) e viene anche favorito un clima ostile attorno a loro in città.

La Lega aveva provato, già durante il procedimento di primo grado, ad affermare che il termine "clandestino" è utilizzato ampiamente nel linguaggio comune, ed è quindi «funzionale all'espressione di una posizione di critica politica» non nei confronti degli individui definiti "clandestini" ma nei riguardi di altri partiti politici.

La sentenza di secondo grado

La Corte d'Appello ha rigettato il ricorso del Carroccio, ribadendo (come già aveva fatto il giudice di primo grado) che non è "critica politica" definire "clandestini" persone che "clandestine" non sono affatto. Si legge nella sentenza: «Il termine "clandestini" è stato riferito a persone straniere che hanno presentato allo Stato italiano domanda di protezione internazionale, esercitando in tal modo un diritto fondamentale dell’individuo, riconosciuto dall’art. 10 della Carta costituzionale. Trattandosi di soggetti che hanno chiesto l’accertamento del diritto a permanere nel territorio dello Stato a fronte di dedotte situazioni di pericolo di persecuzione nel caso di rientro nel Paese di origine o di rischio effettivo di danno grave alla persona, non è ammissibile l’utilizzo dell’espressione "clandestini", la quale individua la posizione di chi fa ingresso o si trattiene nel territorio dello Stato in violazione delle disposizioni normative che regolano l’immigrazione (rapportabile al reato contravvenzionale di cui all’art. 10 bis d.lgs. 286/98)».

E ancora si legge: «Nella pendenza del procedimento di valutazione della domanda di protezione internazionale il cittadino straniero non può ritenersi "clandestino", poiché si trova nella posizione di chi esercita un diritto costituzionalmente tutelato. E, infatti, in tale situazione è rilasciato allo straniero dalla Questura un permesso di soggiorno per "richiesta asilo", grazie al quale può essere svolta regolare attività lavorativa». La Lega aveva provato anche a richiamare le statistiche secondo cui la maggioranza di chi richiede l'asilo non lo otterrebbe: ma i giudici hanno respinto anche questo argomento, per ovvi motivi. Intanto, infatti, che ci si trova nella condizione di avere chiesto l'asilo e di aspettare l'esito della domanda, di sicuro non si è "abusivamente" nel territorio italiano.

Ed infine, la libertà di manifestazione del proprio pensiero politico è ovviamente tutelata dalla Costituzione ma, sempre secondo la sentenza, «anche l’espressione di un’opinione "politica", pur rappresentando estrinsecazione del diritto costituzionalmente garantito alla libera manifestazione del pensiero, deve essere necessariamente bilanciata con il rispetto e la tutela della dignità delle persone alle quali è fatto riferimento, il che nel caso in esame non è avvenuto, risultando sussistente la responsabilità per la ravvisata condotta discriminatoria».

I giudici d'Appello hanno quindi confermato il risarcimento di 5 mila euro per ciascuna delle due associazioni che avevano proposto l'azione (Associazione studi giuridici sull'immigrazione e Naga) e la pubblicazione a pagamento del dispositivo della sentenza su Il Saronno e sul Corriere della Sera, nonché sulle home page dei siti web della Lega nazionale e della Lega saronnese.

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