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Bielorussi in piazza a Milano contro Lukashenko. Intanto a Minsk la polizia arresta ancora i manifestanti

Mentre in patria non si ferma la repressione contro le proteste pacifiche dopo i risultati elettorali bugiardi alle presidenziali, a Milano i bielorussi che vivono in Lombardia si sono dati appuntamento

Si sono dati appuntamento a Milano in piazza Castello, domenica 13 settembre nel tardo pomeriggio: i cittadini bielorussi lombardi hanno manifestato, come a Minsk e nelle altre città bielorusse, contro Aleksandr Lukashenko, al potere dal 1994, autoproclamatosi vincitore delle elezioni presidenziali che si sono tenute dal 4 al 9 agosto 2020; elezioni talmente sospette di clamorosi brogli a discapito di Svetlana Tikhanovskaya, la principale avversaria, che la maggior parte dei Paesi del mondo non ne ha riconosciuto il risultato e l'Unione Europea è pronta a pur timide sanzioni. La Tikhanovskaya, tra l'altro, si è candidata quando il marito, un noto blogger, è stato arrestato prima di poterlo fare a sua volta.

Manifestazione dei bielorussi a Milano (foto Melley)

In piazza con i colori biancorossi dell'antica bandiera nazionale pre-sovietica, i bielorussi hanno manifestato pacificamente esponendo cartelli contro Lukashenko e il risultato elettorale ufficiale, sia per far sentire la loro voce ai connazionali da lontano, dalla "diaspora", sia per sensibilizzare i milanesi e gli italiani su quanto sta avvenendo in patria. Dove, subito dopo le elezioni e il risultato contestato, la polizia e l'esercito hanno cercato di reprimere con la forza le manifestazioni dei cittadini, che però stanno proseguendo incessantemente, tanto quanto la repressione. Anche domenica 13 settembre, secondo fonti della stessa polizia, sono state arrestate a Minsk 250 persone, "colpevoli" di avere utilizzato bandiere biancorosse. 

Le proteste e il ruolo delle donne

Ha colpito il mondo in particolare la grande forza d'animo della popolazione della Repubblica di Belarus, soprattutto le donne, per niente intimorite dai "muscoli" mostrati dalla polizia. Qualche giorno fa, gli ambasciatori di diversi Paesi europei a Minsk si sono recati nell'abitazione del Premio Nobel per la letteratura Svetlana Aleksievic per "scortarla" e proteggerla: è l'unico membro del Consiglio di oordinamento (creato per cercare un dialogo con le autorità e preparare una transizione pacifica del potere) ancora in libertà, gli altri sono agli arresti o in esilio. Accusato da Lukashenko di organizzare un colpo di Stato, il Consiglio di coordinamento vuole l'esatto opposto: «Volevamo evitare una scissione nel nostro paese. Volevamo che iniziasse un dialogo nella società», ha più volte spiegato l'Aleksievic.

Il futuro della Repubblica di Belarus è incerto: Lukashenko deve incontrarsi con Putin, il leader della Federazione Russa che, in un primo momento, era sembrato piuttosto "morbido" anche se poi ha decisamente preso le difese dell'alleato storico, deludendo parte della società bielorussa che sperava che la Russia, quantomeno, si mantenesse neutrale sulle questioni di Minsk. La richiesta dei bielorussi, in patria e all'estero, è che Lukashenko lasci il potere in favore della vera presidente eletta, cioè la Tikhanovskaya, e che vengano perseguiti tutti i responsabili delle violenze contro i manifestanti pacifici.

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