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Moschea di Sesto, il Tar dà torto al Comune. L'ira del sindaco: "Non la farò mai costruire"

La sentenza del Tar nel dettaglio: ecco perché, secondo i giudici, il Comune di Sesto San Giovanni non avrebbe dovuto bloccare la costruzione dell'edificio di culto

«Con me sindaco, la Moschea non verrà mai realizzata». Sono dirette le parole con cui Roberto Di Stefano, sindaco di Forza Italia di Sesto San Giovanni, ha commentato su Facebook la decisione del Tar di accogliere il ricorso del Centro Islamico cittadino contro la delibera comunale che, di fatto, stoppava la costruzione della Moschea. Il primo cittadino ha già promesso il ricorso al Consiglio di Stato, secondo grado della giustizia amministrativa, ma intanto si "sfoga" sul social network.

Il rendering della Moschea di Sesto

La viccenda era "esplosa" a luglio del 2017, con delibera di giunta nella quale il Comune di Sesto bloccava la futura costruzione della Moschea. A marzo di quell'anno, il Centro Islamico aveva chiesto la revisione del cronoprogramma a causa di ritardi nella bonfica, sia per le condizioni metereologiche avverse sia per il ritrovamento di amianto durante gliscavi. Ma il Comune, a luglio, aveva replicato che secondo l'autorizzazione rilasciata ad aprile 2016 i lavori avrebbero dovuto iniziare entro sei mesi, cosa che ad ottobre del 2016 non era avvenuta.

Non è tutto: sempre a luglio del 2017 il Comune ha contestato al Centro Islamico il mancato pagamento di 20 mila euro (saldo del diritto di superficie), 250 mila euro (contributo per opere aggiuntive) e 50 mila euro ("monetizzazione dei parcheggi"), per un totale di 320 mila euro. L'ultima "puntata" si è vista il 9 ottobre 2017, quando il consiglio comunale di Sesto ha deliberato la definitiva decadenza della concessione su via Luini per realizzare la Moschea.

Il sindaco, su Facebook, si concentra particolarmente sui debiti: «Per il Tar è irrilevante che il Centro Islamico usufruisca da anni di un terreno comunale senza pagare quanto dovuto alle casse dell'Amministrazione. Secondo il Tar prevale il diritto di culto e i debiti sono carta straccia? Per me, invece, deve prevalere il concetto scritto su tutte le aule dei tribunali italiani: la legge è uguale per tutti. E non vedo perché gli islamici possano godere di un terreno comunale senza pagare quanto dovuto».

Il Comune di Sesto, resistendo davanti ai giudici, ha ricordato anche che è in vigore, dal 2015, la Legge regionale sui luoghi di culto che prevede, fra l'altro, che ogni luogo adibito al culto debba essere compreso nel Piano di Governo del Territorio. Cosa che, di per sé, "cancellerebbe" almeno per il momento la possibilità di una Moschea a Sesto.

La sentenza integrale del Tar sulla Moschea

Ma il Tar, nel suo giudizio, ha fatto notare che nella convenzione del 2013, antecedente all'entrata in vigore della Legge regionale, la proposta del Centro Islamico era stata ritenuta «meritevole di accoglimento in ragione del perseguimento dell’interesse pubblico al soddisfacimento delle esigenze manifestate da tempo dai numerosi residenti di fede islamica presenti nel Comune». 

Tra diritto di culto e inadempimenti amministrativi

La Corte Costituzionale, come è noto, ha esaminato la Legge regionale sui luoghi di culto sottolineando che la libertà religiosa (e di conseguenza le azioni per favorirla) non può essere messa in discussione da una Legge regionale di tipo urbanistico, che può invece occuparsi semplicemente dello sviluppo armonico del territorio in tutti i suoi aspetti, comprese le attrezzature religiose. «La disponibilità di luoghi dedicati è condizione essenziale per l’effettivo esercizio della libertà di culto», scriveva la Corte Costituzionale. 

Di conseguenza, per il Tar non è possibile che un'autorizzazione a costruire un luogo di culto (secondo il dettato costituzionale) decada soltanto in base a inadempimenti, come il ritardo nell'avvio dei lavori, ammesso che fosse di unica responsabilità del Centro Islamico, e senza un mutamento di destinazione d'uso dell'area di via Luini.

Sei mesi: ma da quando?

Un altro punto contestato dal Comune, come si è visto, è relativo ai sei mesi per l'inizio dei lavori di realizzazione della Moschea. Il Municipio sestese li fa partire da aprile 2016, contestando quindi che ad ottobre di quell'anno non erano ancora stati avviati. Di diversa opinione il Tar, secondo cui il documento che "conta" è quello del 30 ottobre 2017, rilasciato dal direttore del settore rifiuti della Città Metropolitana: è la certificazione con cui si garantisce che la bonifica è stata eseguita e completata.

Come a dire, prima che fosse terminata la bonifica non si potevano certamente avviare i lavori. Di conseguenza, i sei mesi si estinguono il 29 aprile 2018. Leggendo la convenzione (del 2013), infatti, si trova che «i titoli abitativi «dovranno essere richiesti non oltre 6 (sei) mesi dal rilascio della certificazione provinciale di avvenuta bonifica e/o della chiusura del procedimento amministrativo ai sensi dell’art. 2 della legge 241/90 afferente le aree stesse. I relativi lavori dovranno iniziare non oltre 6 (sei) mesi dalla comunicazione del rilascio dei medesimi titoli abilitativi».

I debiti: bastano a cancellare la convenzione?

A questo punto il Tar esamina la questione dei 320 mila euro. Su questo i giudici danno ragione al Comune, secondo cui si trattava di denaro da corrispondere entro il 30 aprile 2017 sulla base della convenzione. Ma ritengono che non si tratti di un inadempimento così grave da avere, come conseguenza, l'estinzione del diritto di superficie. 

Per il Tar, leggendo le convenzioni sulla Moschea si evince che le parti (il Comune e il Centro Islamico) attribuiscono essenzialità «soltanto alla tempestiva realizzazione dell’opera»: e non vi è stata tempestività perché il Comune «ha subordinato l’efficacia del titolo abilitativo (e l’inizio dei lavori) all’ottemperanza alla prescrizione in tema di bonifiche».

E di più, per il Tar il Comune non avrebbe provato la gravità dell'inadempimento, che secondo l'amministrazione avrebbe portato a estinguere il diritto di superficie, limitandosi invece a provare ciò che si è verificato. Ed infine, per il Tar, secondo il principio di buona fede, il mancato pagamento della somma non potrebbe essere sufficiente ad estinguere il diritto di superficie anche perché (alternativamente al 30 aprile) era stato fissato anche un secondo termine «correlato ad un evento incerto nel quando», cioè la progettazione preliminare delle opere di urbanizzazione.

Le reazioni

Si è detto della reazione del sindaco Di Stefano. Che su Facebook parla di «follia» e di diritto di culto che non può prevalere sul pagamento dei debiti. E che infine preannuncia il ricorso al Consiglio di Stato, chiedendo al Centro Islamico di produrre i bilanci per dimostrare di non avere contatti col Qatar, Paese considerato «vicino al terrorismo islamico».

Di Stefano, poi, annuncia che penserà se indire un referendum cittadino per chiedere ai residenti di Sesto se sono favorevoli o contrari alla Moschea. Una proposta che lo stesso Di Stefano aveva già fatto in campagna elettorale, all'inizio del 2017.

«La sentenza fa giustizia di un'amministrazione che ha cercato di ledere un diritto fondamentale», è il commento di Franco Mirabelli, senatore del Pd (rieletto il 4 marzo), che parla di «reazione scomposta» del sindaco e fa notare che un referendum non può «cancellare un diritto costituzionale». E per Roberta Perego, capogruppo del Pd in consiglio comunale, «Una sentenza così importante e severa denuncia le inadempienze amministrative e, come avevamo previsto, mette in difficoltà l'intera comunità sestese, facendola ripiombare in un conflitto faticoso e in lacerazioni che sfilacciano i legami di una città».

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