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La Regione trasversale contro la liberalizzazione degli orari dei negozi

Approvata una mozione del Pd. La classe politica lombarda si conferma refrattaria alla libertà di aprire i negozi anche nei giorni di festività

Non può non saltare all'occhio la differenza di posizione, dal 2013 al 2017, di alcuni esponenti politici. Come De Corato, di Fdi, che nel 2013 tuonava contro il proliferare dei centri commerciali in Lombardia e votava a favore della limitazione di orari e giorni di apertura, e nel 2017 decide di astenersi spiegando di non volere tornare al passato. Così come stupisce che partiti che sostennero il Salva Italia nel 2011 (Pd e Forza Italia) ora siano quasi compatti nella difesa delle serrande chiuse.

Vero è che la mozione parla di giornate di festa civile o religiosa e non di domeniche in generale, ma diversi commenti si focalizzano - ancora una volta - sulla questione del diritto a una giornata di riposo alla settimana; diritto che, in realtà, la legislazione sul lavoro riconosce, così come riconosce anche un congruo compenso orario domenicale del 130% rispetto a un giorno feriale, e del 150% se dopo le 22. 

A chi si esprime asserendo che occorre «santificare le feste» oppure che bisogna «riappropriarsi di valori importanti quali trascorrere le festività con la propria famiglia» vien fin troppo difficile tentare una risposta. Ce n'è una, di replica, che vale sempre: sono molto più numerosi di quel che si crede i lavori che prevedono non la scelta ma l'obbligo (a turno) di essere impegnati nei giorni festivi, compreso Natale, compreso Ferragosto, compresa la notte di Capodanno. Dai macchinisti dei treni e delle metropolitane ai giornalisti, dai medici ospedalieri agli operatori delle forze dell'ordine, ma l'elenco sarebbe davvero troppo lungo ed impietoso per chi definisce «valore» il «trascorrere tempo con la famiglia» (semmai, un "valore" è la famiglia in sé, per alcuni). 

Così come i lavoratori del commercio correttamente inquadrati possono ora rifiutarsi (lo ricorda la stessa mozione), se lo credono, di lavorare nelle festività, sarebbe forse più produttivo spendere energie (soprattutto se si crede realmente che centri commerciali e outlet siano finanziariamente "potenze") per garantire, realmente, a tutti, compresi quei lavoratori assunti apposta per i weekend, pari condizioni contrattuali.

Ma più in generale è un dato di fatto che il commercio muti. Nel XX Secolo non è stato come all'epoca della Via della Seta, oggi non è più come quaranta o trent'anni fa. La crescente importanza del commercio online è sotto gli occhi di tutti, e costringe anche quelle ipotetiche "potenze" (centri commerciali, grandi magazzini, outlet, ipermercati, superstore) a ripensare sé stessi e i propri modelli di approccio al cliente. Altrimenti la chiusura è dietro l'angolo, non solo per il piccolo commercio "di vicinato" ma anche per l'iperstore dell'hinterland. 

Quanto alle città e ai loro centri storici, nei Paesi occidentali è sempre più frequente l'impostazione di città aperta 24/7, o quasi. Anni fa, la Lega Nord aveva anche provato a proporlo, per Milano, in occasione di elezioni comunali. Se dai politici ci si deve aspettare qualche cambio d'opinione o di linea politica, non si può non vedere che i businessmen, i turisti, i city-users e anche i residenti chiedono sempre maggiore apertura e libertà, e se non l'avranno in strada prima o poi qualcuno riuscirà a dargliela - quasi in tempo reale - online.

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