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Piano Periferie "incostituzionale", congelato da tutti i partiti. Le ragioni e le vie d'uscita

La Corte Costituzionale aveva censurato il mancato coinvolgimento delle Regioni nei progetti di rilancio delle periferie. Ma gli enti locali si ribellano: possibile che il blocco alla fine venga "mitigato"

Prima la levata di scudi: sembrava inaccettabile che il governo avesse letteralmente congelato fino al 2020 i 2,1 miliardi di euro del Piano Periferie dei governi precedenti, con 120 convenzioni attive con numerosi Comuni italiani e, in alcuni di questi casi, progetti esecutivi già presentati. Per Milano si trattava di rimandare di due anni la nuova scuola media del quartiere Adriano (attesa da anni), il prolungamento della linea 7 sempre ad Adriano, il rifacimento di diverse stazioni della M2 sulla tratta per Gessate e altro ancora.

Poi è emerso, resoconto alla mano, che l'emendamento è passato in Senato all'unanimità, votato da tutti i 270 senatori presenti, compresi quelli del Pd, di +Europa, di Leu e di Forza Italia. Una "nota stonata" rispetto alle reazioni a caldo dei sindaci e degli assessori di mezza Italia, compreso Pierfrancesco Maran (che si è detto «sbigottito e incredulo») e il sindaco Giuseppe Sala («una manovra politica del nuovo esecutivo per screditare una buona idea dei governi precedenti. Ma questo governo vuole o non vuole collaborare coi sindaci?»). 

Il Piano Periferie era incostituzionale?

A svelare l'arcano, almeno dal loro punto di vista, ci hanno pensato alcuni esponenti della Lega e del Movimento 5 Stelle. Per esempio il presidente leghista del Municipio 2 di Milano, Samuele Piscina, particolarmente interessato visto che sul suo territorio insiste il quartiere Adriano. E secondo la ricostruzione di Piscina, tutto è partito da una sentenza della Corte Costituzionale che, ad aprile del 2018, ha sancito l'incostituzionalità del Piano Periferie perché i progetti interessano anche settori di competenza concorrente delle Regioni, senza però prevedere un loro coinvolgimento.

Tra le materie in cui le Regioni hanno una competenza (insieme allo Stato), secondo la Corte vi sono anche gli «investimenti per la riqualificazione urbana e per la sicurezza delle periferie delle Città Metropolitane e dei Comuni capoluogo di provincia», cioè appunto il Piano Periferie. L'emendamento è stato per ora approvato soltanto al Senato: dovrà passare alla Camera, e poi di nuovo al Senato se (come è assai probabile) subirà modifiche nell'aula di Montecitorio.

Il ricorso alla Corte Costituzionale era stato avanzato dalla Regione Veneto, il cui presidente è il leghista Luca Zaia. E la Corte ha dato ragione al Veneto, dichiarando l'illegittimità costituzionale della norma in questione «nella parte in cui non prevede un’intesa con gli enti territoriali in relazione ai decreti del presidente del consiglio dei ministri riguardanti settori di spesa rientranti nelle materie di competenza regionale».

La soluzione della maggioranza

La Corte ha però "salvato" i finanziamenti a progetti già in corso, laddove il loro blocco ledesse altrettanti diritti costituzionali delle persone. E il governo sarebbe stato costretto a correre ai ripari per evitare che tutto il Piano Periferie venisse annullato dall'incostituzionalità.

Di qui l'emendamento, che salva i primi 24 progetti (quelli immediatamente esecutivi) e rimanda al 2020 tutti gli altri. Questo genera un "tesoretto" di circa un miliardo di euro che viene riutilizzato creando un fondo a favore di tutti gli enti locali (Comuni, Città Metropolitane e Province) che intendano effettuare investimenti utilizzando (e sbloccando) i propri avanzi di bilancio degli anni precedenti.

La levata di scudi

Anche considerando l'eccezione di incostituzionalità, gli amministratori locali e anche diversi esponenti di opposizione hanno criticato il blocco del Piano Periferie. Da Bologna si sentono beffati visto che l'ok ai 10 progetti esecutivi (per 18 milioni di euro) era arrivato due giorni prima della votazione dell'emendamento. In Friuli Venezia Giulia lo stop "vale" 80 milioni di euro in tutto. In Liguria sono a rischio di blocco progetti per 111 milioni di cui una quarantina su Genova. E così altrove.

Gli esponenti politici di opposizione parlamentare, da Forza Italia al Partito Democratico, hanno promesso che presenteranno sub-emendamenti per "limitare i danni", e i sindaci di tutta la Penisola (comprese molte Anci regionali, gli organi che riuniscono i Comuni) hanno chiesto ai deputati di intervenire in questo senso. E' quindi praticamente certo che l'emendamento (firmato dai senatori Daisy Pirovano e Massimiliano Romeo della Lega) verrà modificato nel passaggio a Montecitorio. Occorrerà capire come. 

Possibile via d'uscita

Una possibile via d'uscita la fornisce la stessa Corte Costituzionale nella sua sentenza di aprile. Censurando il mancato coinvolgimento delle Regioni nelle convenzioni a materia "concorrente", per il sol fatto che non vi è stato questo coinvolgimento, sembra semplicemente auspicare che le singole convenzioni con gli enti locali siano riviste interpellando appunto gli organi regionali. Questo vorrà dire, in ogni caso, rimandare alcune, o forse quasi tutte, le convenzioni. Ma potrebbe evitare il blocco fino al 2020.

Blocco, o congelamento che dir si voglia, che a questo punto appare più che altro una "scusa" per finanziare una spesa più interessante per il governo (il fondo "a pioggia" per tutti i Comuni con avanzo di bilancio) prendendo le risorse proprio dal Piano Periferie. Altrimenti sarebbe bastato un altro tipo di emendamento per aggiungere alla norma del Piano Periferie (Legge di Stabilità 2017, art.1 c.140) la necessità di coinvolgere le Regioni. Proprio e solo quello che chiedeva la Corte Costituzionale.

E questa potrebbe essere la via d'uscita quando il Milleproroghe approderà alla Camera: un sub-emendamento che da una parte "risusciti" il Piano Periferie prevedendo il coinvolgimento delle Regioni e, dall'altra parte, "salvi" comunque il fondo per tutti i Comuni, istituito al Senato, finanziandolo però in altro modo.

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