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Profughi in Bosnia, Majorino: "Condizioni disumane, mancano regole europee"

Il racconto del parlamentare europeo milanese bloccato dalla polizia croata sul confine

E' tornato da una missione sulla rotta dei migranti, tra Croazia e Bosnia: non solo il confine tra due Stati, ma anche uno dei confini dell'Unione Europea. Il più caldo in questi mesi. Pierfrancesco Majorino, deputato europeo del Pd, ha ancora negli occhi il dramma dei profughi: quelli ospitati nei centri accoglienza e più ancora quelli che restano nei dintorni del confine, nel freddo della neve e della foresta, bloccati dalle decisioni dei governi e dall'assenza di una politica europea sulle migrazioni.

«Abbiamo visto la realtà che sapevamo che avremmo incontrato, grazie al grande lavoro e alla testimonianza degli ultimi mesi da parte delle organizzazioni umanitarie e dei giornalisti», commenta a MilanoToday l'ex assessore milanese alle politiche sociali, eletto a Bruxelles nel 2019, che si è recato sui Balcani con i compagni di partito all'europarlamento Brando Benifei, Alessandra Moretti e Pietro Bartolo.

Com'è la situazione in Bosnia e in Croazia? 

«In Bosnia abbiamo trovato condizioni inaccettabili di accoglienza dei migranti. Ed è allarmante la condizione di coloro che, non accolti nelle strutture, sono presenti nelle zone di confine. In Croazia, dove pure abbiamo visitato un centro accoglienza che mi è parso ben gestito a Zagabria, il problema è che va fatta piena luce sulle modalità di gestione del confine. L'episodio che ci ha riguardato è brutto e inspiegabile, non fa che alimentare i dubbi su ciò che sta accadendo».

Siete stati bloccati dalla polizia croata prima di poter raggiungere la frontiera bosniaca. Che cos'è accaduto?

«La Croazia da mesi dice che non è vero ciò che si racconta. Ma se vuoi dimostrare che la ricostruzione è negativa, mi dovresti invitare a vedere, non impedirmelo. Ora il governo croato ci sta accusando di aver provocato noi un incidente, per cui andrà ricostruita la verità. Avevamo un drone sopra di noi, per cui quello che è successo è molto chiaro. Peraltro sono stupito dall'atteggiamento della polizia croata perché a quel governo converrebbe una pressione da parte degli eurodeputati».

Alla fine siete riusciti a visitare il centro accoglienza di Lipa, in Bosnia. Che cosa avete visto?

«La disumanità di persone distrutte da freddo e neve, trenta o quaranta persone in una tenda senza riscaldamento, senza luce e senza aerazione. E questi sono coloro che sono stati accolti. Vanno assolutamente sostenuti i soggetti che operano già lì: attivisti locali, ma anche organizzazioni italiane tra cui la Caritas Ambrosiana e Ipsia-Acli di Milano».

Quali politiche per uscire da questa situazione?

«Ne usciamo tutti insieme. E' limitativo puntare il dito su un singolo governo. E' evidente che in Bosnia mancano politiche sull'immigrazione, in Croazia si presentano mancanze sulla gestione del confine, l'Italia pratica i respingimenti. A non funzionare è l'assenza di regole europee. Non c'è una politica europea ma una continua logica di chiusura a seconda del confine più esposto. Sembra un cerino che ci si passa, e non nego certo la possibilità che ci siano anche persone da tenere d'occhio, ma ci vanno di mezzo donne, uomini, bambini».

Che cosa può fare l'Unione Europa, data l'assenza di una politica comunitaria?

«L'Ue deve superare il regolamento di Dublino e darsi un nuovo piano sull'immigrazione: recentemente la Commissione Europea ne ha presentato uno, che a mio avviso è molto deludente. Ci deve essere la ricollocazione automatica: a farsi carico della responsabilità dell'accoglienza non possono essere solo alcuni Paesi. E ci vorrebbe un corpo di protezione civile europea che vada sul campo, aiuti le comunità locali che, spesso, da sole subiscono la pressione e, se necessario, si metta in mezzo nelle situazioni conflittuali. Occorre anche pressione sui governi, penso all'Ungheria dove Orban, chiudendo tutto, è parte del problema e fa quello che non si deve fare. Se non ti fai carico dell'immigrazione e dell'accoglienza, non dovresti ricevere aiuti economici da Bruxelles».

A Milano, da assessore alle politiche sociali, aveva sperimentato un modello. Ora che cosa farete?

«Ritengo che il modello che abbiamo creato, ovvero l'idea che si lavori tutti insieme, dalla protezione civile alle associazioni e alle istituzioni, non sia il migliore ma l'unico modo per affrontare il tema. Ora noi interverremo senz'altro in Parlamento Europeo per porre il problema e raccontare cosa abbiamo visto, ma faremo anche altre iniziative sul campo».

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