Poste itaGliane
A: Poste Italiane. Buongiorno, le parole che seguono, più che un reclamo, sono una triste constatazione: della voluta insensibilità di alcune persone che occupano posti, in uffici pubblici, da cui esercitano il loro piccolo potere in modo autoritario, poco solidale coi propri simili (utenti) e con un'applicazione delle norme degna di gerarchi nazisti di basso rango. Lunedì 9 gennaio scorso, dovendo affidare un pacco di dimensioni medio-grandi a Poste italiane, ho deciso, invece di portarlo all'ufficio postale di piazza Gasparri nel quartiere Comasina a Milano, vicinissimo a casa mia, di scarpinare, con le mie gambe di settantaduenne, per un paio di sani chilometri fino a quello di Bruzzano (che non è più un paese alle porte di Milano, ma è ormai da anni un quartiere della città), per evitare la inveterata scortesia estrema e la feroce supponenza di una impiegata di mezza età dell'ufficio di piazza Gasparri, non solo nei miei confronti ma anche verso altre persone che la sua mente a dir poco bizzarra interpreta come meritevoli di maltrattamenti (comportamento con cui contagia alcune colleghe, ...che si lasciano contagiare..). Giunto all'ufficio postale di Bruzzano alle 12,50, trascinando il carrellino col voluminoso pacco, appena entrato l'impiegata dello sportello esattamente di fronte all'ingresso (credo fosse il n. 2, il n. 1 era sguarnito), anche lei una signora di mezza età, mi ha avvisato, ad alta voce per la distanza da me, che non potevano accettare pacchi grandi come il mio perché la porta di transito delle merci voluminose era guasta. Mi è venuto spontaneo, un po' ingenuamente, farle sapere che avevo appena percorso due chilometri a piedi, che avevo 72 anni e che mi sarebbe risultato pesante e faticoso rifare il cammino inverso di nuovo con quel carico di circa 12 chili. Non capendo bene che cosa poi mi stesse rispondendo, mi sono avvicinato allo sportello e la signora, oltre a sottolineare l'impossibilità di accettare il pacco per quel motivo tecnico (la porta guasta), aggiungeva, già con un tono poco urbano, che se mi fossi fermato ad aspettare il mio turno di chiamata, non poteva garantire che questo sarebbe arrivato prima delle 13,35, ora in cui avrebbe concluso il suo lavoro (come gli altri sportellisti), diceva la signora, anche se nell'ufficio ci fosse stata ancora gente. Affermazione che mi è sembrata subito contraria alla regola (forse non scritta) attuata da tutti gli uffici pubblici, che cioè, poco prima dell'orario di chiusura, un impiegato chiuda la porta di ingresso e che gli utenti presenti all'interno vengano comunque ascoltati e soddisfatti nelle loro necessità. Non avendo la signora, l'impiegata, insistito nel dissuadermi a rimanere e non avendolo fatto nemmeno dopo che mi ero seduto, ho pensato che ci fosse comunque un modo o per aprire la porta guasta o per fare arrivare il pacco al di là degli sportelli, magari attraverso un'entrata di servizio. Il mio numero era il P018 (P come "pacchi"); i numeri per le pratiche ordinarie, contrassegnate da una "A", si succedevano abbastanza regolarmente e velocemente con i numeri per i pacchi (piccoli, che passavano per il cassetto dello sportello n.1), fino al numero P017, uscito verso le 13,15, dopo il quale il mio numero, P018, non è mai più "uscito", fino alle 13,35, cosa che farebbe sorgere qualche dubbio anche al più fiducioso e tranquillo degli esseri umani; nel frattempo, in una occasione, ho avuto modo di vedere le altre due impiegate che, osservandomi con aria tra il curioso e l'interrogativo, si sono scambiate qualche parola accompagnata da risolini, non cattivi, abbastanza innocenti: evidentemente la mia ingenuità fidente, mostrata nel rimanere, era fonte di comicità. Dunque, scattata l'ora X, le 13,35, il lavoro delle impiegate verso il pubblico si è fermato; ho interrogato con sofferto stupore la signora impiegata di mezza età con cui all'inizio avevo interloquito, la quale, con atteggiamento scostante, poco umano e decisamente irriverente, affermava che non c'era niente da fare, ma senza citare la fatidica porta guasta, bensì perché il tempo della chiusura era scaduto senza che uscisse il mio numero e perché lei "doveva andare a casa a mangiare"; nel dirlo e nel ripeterlo le si formava un percettibile ghigno di soddisfazione sulla faccia. Le ho chiesto di parlare con la direttrice e me l'ha indicata: da circa una ventina di minuti la direttrice dell'ufficio si trovava all'esterno con due sue conoscenti o parenti (baci e abbracci), l'ho avvicinata con discrezione e cortesia e un po' di apprensione (errore, così si favorisce l'eventuale sadismo dell'interlocutore...), descrivendole la situazione incresciosa. La direttrice, in tono molto asciutto e infastidito, ha risposto che non poteva farci niente, che dipendeva dalle impiegate, aggiungendo che da venti giorni aspettava la riparazione della porta guasta e mostrandomi tra l'altro con impazienza un avviso di sciopero affisso all'ingresso. Sciopero... di un singolo ufficio postale..? Sono persino arrivato ad inginocchiarmi ai piedi della direttrice (di Bergen-Belsen, di Dachau, di Mauthausen, di Auschwitz?), ma la sua rigida irremovibilità non si è modificata, anzi si è accentuata (reazione prevedibile in quel tipo di persona), fino a farle dire che la stavo disturbando. Non provavo rabbia, solo un grande senso di mortificazione, di fronte a persone che a un altro essere umano negavano un po' di solidarietà. Voglio sottolineare però non tanto il rifiuto in sé e per sé di venirmi incontro, da parte della direttrice e della impiegata allo sportello n. 2, quanto il modo ambiguamente inumano e scortese di entrambe di opporre quel rifiuto; e il modo sottilmente perfido dell'impiegata allo sportello n. 2, che fin dall'inizio sembrava essere certa che il mio numero non sarebbe stato assolutamente chiamato entro l'orario di chiusura. Si possono dire dei "no" con fermezza ma anche con gentilezza e capacità di persuasione, senza il rischio di produrre insistenza nell'utente-interlocutore; ma è una capacità rara, che per le persone poco dotate di sensibilità umana risulta faticosa: per loro è più facile la scorciatoia del "non si può". Unica piccola consolazione mi è stata offerta dall'impiegato uomo, e umano, che prima di chiudere la porta principale dell'ufficio, ha ascoltato con benevolenza l'esternazione del mio dispiacere e risposto con intelligenza alla mia richiesta di un suo parere sull'accaduto. Mi sono allontanato da quell'ufficio gelido, tirandomi dietro il carrellino e il pacco, e sono entrato nella chiesa accanto, per chiedere un parere più alto. Luciano Stefanelli.