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Tanto col calcio vale tutto

Editoriale - Milano diventa per un pomeriggio un enorme assembramento da 30mila persone festanti con mascherine abbassate, e la questura parla di "sporadici episodi" e simpatiche "esplosioni di gioia". La prefettura si limita a "controllare". La politica, destra e sinistra, di fatto tace o rimbrotta blandamente. Perchè col pallone non ci sono mai mezze misure

La scena è la seguente: un ragazzo in corso Venezia filma col cellulare i festeggiamenti per lo scudetto dell'Inter, mentre sta guidando una BikeMi. Già questo dovrebbe far aprire il blocchetto dei verbali a qualsiasi vigile. A pochi metri da lui, un incosciente lancia un petardo. Con calma serafica prova ad avvisare il ciclista, ma è troppo tardi. Allo scoppio quest'ultimo inchioda cappottandosi e rischia di rompersi l'osso del collo. Il tutto nella cornice di urla, traffico bloccato, trombette e fumogeni e tra l'indifferenza generale. 

"Sono interista: e questa festa ha rovinato la festa"

Tutto normale. Tutto regolare. Il putiferio nerazzurro dopo la vittoria del tricolore scivola placidamente nella categoria "essere nell'ordine delle cose". La questura di Milano, con un messaggino ai giornalisti, si affretta a segnalare che la situazione è sotto controllo e non si sono "registrati momenti di tensione o conflittualità". Si parla di "sporadiche e improvvisate esplosioni di gioia con gruppi di persone festanti per le strade". Nessun riferimento alle palesi violazioni delle norme anti-assembramento contro il covid o al rischio epidemiologico al quale si andrà incontro nei prossimi giorni. In fondo, solo 30mila persone si sono accalcate in piazza Duomo in barba a ogni divieto. Dalla prefettura ci si è limitati a controllare la situazione. A evitare incidenti. Con un piccolo problema: il virus corre lo stesso. E una questione d'ordine pubblico cela, nemmeno troppo bene, una questione d'ordine sanitario. Gli studi convergono su una cosa: l'esterno non è esente da rischi. Ci può contagiare anche all'aperto: contatti prolungati, canti senza mascherina. La bomba virale più devastante della prima ondata è stata, in modo conclamato, Atalanta-Valencia. Non c'erano i vaccini, certo, e si sapeva poco del covid. Ma la storia dovrebbe insegnare. Dovrebbe.

Perchè il calcio è questo. Era già accaduto a Napoli per la morte di Maradona, a Spezia (ancora) per i festeggiamenti per la promozione in serie A. Succede e succederà ancora. Il calcio livella distanze sociali e idee politiche, azzera, fa dimenticare tutto. È pura incontinenza emotiva, passionaccia allo stato brado, annichilazione del raziocinio. Del resto, il premier trova il tempo di parlare della Superlega, mentre l'agenda improvvisamente diventa fittissima per Giulio Regeni o Zaki. È statisticamente certo che una buona percentuale dei tifosi festanti di domenica, con la mascherina abbassata, abbracciati urlanti in "Amala", abbia avuto genitori, nonni, parenti o amici morti per covid. Eppure gli amministratori pubblici schiumanti di rabbia per i ragazzini che si raggruppano in Darsena, se l'argomento è il pallone, diventano agnellini. Il governatore Fontana se la cava con un blando "speriamo non aumentino i contagi". Del sindaco Beppe Sala, alle 14.47 di lunedì, ancora nessuna notizia. Così per la vice Scavuzzo, delega alla sicurezza. Silenzio tombale. Idem per l'opposizione leghista a Palazzo Marino, solitamente solertissima nel fare pulci nanoscopiche, oggi un po' meno solertissima (la Sardone, presente in mezzo ai festeggiamenti, per esempio, si avvita in un triplo mortale carpiato dicendo che "era lì per caso). Nel frullato, intere categorie economiche in ginocchio - i luna park, chiusi da un anno, sono all'aperto, giusto? - a guardare impotenti.

L'enorme impresa sportiva degli uomini di Conte non merita di finire nelle caselle del bollettino covid tra 15 giorni. Ne è valsa davvero la pena? 

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